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La Persona Peggiore del Mondo e un instant cult che esplora il disagio dei trentenni

Visto e amato. Ecco perché non dovete perdere il film Joachim Trier con Renate Reinsve

La Persona Peggiore del Mondo

MILANO – “Il terzo film nella trilogia di Oslo di Joachim Trier è una commedia drammatica sull’amore ai nostri tempi e sull’avere tutte le opportunità nella vita, ma sentirsi ancora la persona peggiore del mondo”. Questa l’affascinante logline de La persona peggiore del mondo, uno di quei film che ci ricorda perché siamo innamorati del cinema. Dopo la première a Cannes, dove la protagonista Renate Reinsve ha vinto la Palma d’Oro come miglior attrice, il film ha proseguito il suo tour festivaliero per poi passare in sala e arrivare in esclusiva su CHILI dal 18 al 22 febbraio. Un film da vedere e da amare, e si percepisce possa diventare un classico dei nostri tempi, anche grazie alla stagione dei premi. Se la critica internazionale lo ha elogiato e applaudito, sottolineando quanto sia un perforante studio sull’inquietudine dei millennial, per noi è semplicemente una pietra miliare del cinema contemporaneo.

Renate Reinsve è Julie

La storia? Protagonista Julie (Reinsve) è una ragazza quasi trentenne alle prese con i dubbi esistenziali di un’età difficile nel nostro complesso momento storico. Guidata dalla curiosità, sperimenta diverse occupazioni alla ricerca del suo posto nel mondo ma, per quanto non le manchino tutte le abilità necessarie, è ancora instabile e infelice. L’incontro con Aksel, irriverente autore di graphic novel ai tempi del #metoo ed Elvind, commesso di una caffetteria aiuteranno quest’anima errante a barcamenarsi tra le imprevedibili peregrinazioni dell’esistenza per disvelare il suo vero sé. La forza del film risiede nella sua capacità di creare nello spettatore una connessione personale con Julie, facendogli sentire l’opera sulla propria pelle, neanche si fosse personalmente sullo schermo.

La persona peggiore del mondo
Renate Reinsve e Anders Danielsen Lie in La persona peggiore del mondo

La persona peggiore del mondo è in fondo un film sentimentale che talvolta commuove non tanto per la drammaticità di certi eventi, quanto piuttosto per la vividezza emanata dalle emozioni sullo schermo. A detta del regista, la libertà di questo personaggio così vivo si riflette nella stessa libertà dello storytelling: nei dodici episodi con prologo ed epilogo in cui si articola il film vi è tanta vita quotidiana e qualche scena cult. È infatti proprio quando il film sembra restituirci una piacevole sensazione di relax che stupisce con la genialità di alcune scene, le quali raccontano in immagini l’incomunicabilità verbale dei sentimenti (di una su tutte non facciamo spoiler perché possiate goderne a pieno). E non crediate si utilizzino a tal fine sconvolgenti effetti speciali: c’è unicamente artigianalità, genuinità e intelligenza nel raccontare una storia che è poi la storia di molti.

Renate Reinsve, Joaquim Trier e Herbert Nordrum sul set del film

La persona peggiore del mondo ha in fondo solo un titolo che non ci piace (tradotto letteralmente dall’originale), perché stona in un’opera in cui i personaggi son così autentici e prossimi al nostro sentire che risulta inevitabile sospendere il giudizio nei loro riguardi. Ed è curioso ipotizzare che il film generi una profonda scissione generazionale. Potremmo dire di più: i ventenni e i trentenni potranno riconoscere sullo schermo dei tratti a loro così affini che sapranno forse ridere di se stessi e guardarsi persino con catartica tenerezza. Non è tanto il vedere per la prima volta le mascherine sullo schermo a rendere il film contemporaneo, quanto la sua capacità di narrare con naturalezza e semplicità un disagio esistenziale molto sentito dai più giovani e sul quale il cinema sembra stia ancora qualche passo indietro.

Renate Reinsve
Renate Reinsve e Anders Danielsen Lie in una scena del film

Dopo Reprise del 2006 e Oslo, August 31st del 2011, La persona peggiore del mondo completa la trilogia di Joachim Trier su Oslo: la città ha in questo caso un ruolo primario nel rispecchiare, attraverso le sue colline, l’anima tormentata e altalenante della protagonista. Se infine qualcuno ha percepito delle risonanze con il cinema di Woody Allen, nonostante la forte matrice europea, è probabilmente perché a sostenere tanta profondità vi è una colonna sonora ricca di piaceri musicali, a partire da The way you look tonight per arrivare alla Waters of March di Art Garfunkel. Proprio quest’ultima vi terrà incollati alla poltrona fino a quando la sala non tornerà ad illuminarsi. E solo a quel punto la vera vita ricomincerà, ma sarà più bella rispetto a due ore prima.

Qui potete vedere il trailer del film: 

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