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Dietro le quinte de La banda della Uno Bianca, tra gli Eurythmics e Night Stalker

Realtà, finzione, riferimenti: il regista Claudio Pisano racconta il suo documentario, su History Channel

La famigerata Uno Bianca al centro del documentario.

BOLOGNA – Un viaggio nel tempo, un tuffo in un incubo che tra il 1987 e il 1994 mise sotto scacco l’Emilia-Romagna e le Marche, due regioni che improvvisamente si trovarono al centro del mondo del crimine quasi in un contesto americano per ferocia e determinazione: La banda della Uno Bianca, protagonista della nuova puntata del nostro Doc Corn (qui le altre) e in onda giovedì 24 e venerdì 25 giugno alle 21.50 su History Channel (canale 407 di Sky), cerca di rimettere in ordine i tasselli di un mosaico criminale che ancora oggi stupisce. «E restituire un racconto emotivamente forte, ma al contempo fedele ai fatti è stata una sfida complessa e allo stesso tempo affascinante», ci confida il regista, Claudio Pisano, già dietro un’altra docu-series scottante come Emanuela Orlandi: il caso è aperto.

Claudio Pisano, regista de La banda della Uno Bianca.

LA DIFFICOLTÀ – «La difficoltà più grande? Provare a comprendere. Provare, in punta di piedi, a capire quanto grande sia il vuoto che hanno lasciato le ventiquattro vittime della banda della Uno Bianca. Provare a spiegarsi cosa può aver spinto i tre fratelli Savi e i loro “colleghi” nelle azioni criminali. Provare a tracciare una linea lucida e umana in un racconto che però non lascia spazio alla normalità. Nel corso delle interviste si è poi fatta strada la consapevolezza di quanto una vicenda così lontana nel tempo sia tutt’ora scottante. Il fatto che si trattasse di una banda composta per lo più da poliziotti ha scosso dall’interno le istituzioni. È facile leggere tra le parole dei nostri intervistati quanto sia ancora viva in loro, e nella polizia di stato, l’onta di quegli eventi».

Una scena de La banda della Uno Bianca.

LA RICERCA – «Durante le ricerche la cosa che mi ha colpito di più è stato scoprire il mondo alla rovescia. Insieme a Simone Passarella – che ha scritto La banda della Uno Bianca – abbiamo letto centinaia di documenti e ascoltato ore di registrazioni degli interrogatori. La banda era l’incarnazione di un mondo capovolto: poliziotti che, tolta la divisa, diventavano assassini; assassini che, dopo aver ucciso, vestivano i panni dei poliziotti e venivano chiamati a piantonare il luogo del loro attentato. Erano astuti e capaci di organizzare ogni azione nei minimi dettagli, capaci di fabbricarsi esplosivo o depistare gli inquirenti commettendo omicidi e reati utili esclusivamente a confondere le idee. Solo dopo il loro arresto si è potuta comprendere davvero la portata delle loro azioni…».

Un’altra ricostruzione del documentario.

LA UNO BIANCA – «Proprio per dare un “volto” a quel mondo alla rovescia ho deciso di girare molte sequenze de La banda della Uno Bianca ribaltando le inquadrature e capovolgendo totalmente la macchina da presa ogni volta che entrava in campo la Uno Bianca. Dovessi scegliere qualcosa che mi ha colpito più di altro? Direi senza dubbio le lettere d’amore che Fabio Savi scriveva ad Eva Mikula. Lettere dolci e profonde scritte di suo pugno alla ragazza che amava, scritte mentre lei cercava di allontanarsi da lui, scritte alternando i suoi “Ti amo” sulla carta agli omicidi sull’asfalto…».

Sul set del documentario.

LA MUSICA – «La musica ha un effetto dirompente sulla nostra mente e sui ricordi. Fin dall’inizio delle riprese avevo in mente di utilizzare Sweet Dreams degli Eurythmics per caratterizzare la serie e catapultare lo spettatore in un periodo preciso. Il primo test è stata la troupe. Costringevo tutti ad ascoltare Sweet Dreams ed altre hit anni Ottanta e Novanta mentre giravamo. Da lì si è fatta strada l’idea di “normalizzare” gli istanti prima di un attentato con l’uso di radio e canzoni. Forse, anche gli uomini della banda, come le loro vittime, ascoltavano brani che appartengono alla memoria di tutti, poco prima delle loro azioni criminali. Più in generale direi che le canzoni, in un documentario d’epoca come questo, fungono da macchina del tempo: riportano lo spettatore indietro nel tempo e in un contesto storico-sociale ben preciso. Le canzoni avvolgono chi guarda e lo trasportano emotivamente dentro al racconto».

I RIFERIMENTI –  «Sono un onnivoro. Faccio incetta di film, serie e documentari, ma questi ultimi, soprattutto in chiave crime/investigativa, rimangono la mia passione. Negli ultimi anni ho apprezzato l’esplosione del concetto di serialità, sia in ambito documentaristico che di finzione. Lo spazio che si concede al racconto attraverso più episodi permette uno sviluppo più accurato della narrazione. Da Narcos a Your Honor, da Evil Genius a Making a Murder, da Anna a The Sinner sono tanti i prodotti che ho amato. Due titoli che mi hanno ispirato e che ho studiato a fondo prima di girare La Banda della Uno Bianca, sono stati i documentari Fear City: New York contro la mafia e Night Stalker – The Hunt for a Serial Killer su Richard Ramirez (entrambi su Netflix, nda)».

Il poster di Night Stalker, in streaming su Netflix.

IL REGISTA – «In realtà non ho un riferimento assoluto o un unico regista preferito. Apprezzo i lavori di vari autori e da ognuno rubo, imparo, metto insieme e faccio mie alcune cose. Ammetto però che, come spettatore, ci sono registi che mi affascinano più di altri per l’inconfondibile e originale capacità di raccontare piccole e grandi storie. Tra questi senza alcun dubbio Denis Villeneuve, Ron Howard e Paolo Sorrentino…».

  • DOC CORN | Qui le altre puntate della nostra rubrica
  • Qui sotto il trailer de La banda della Uno Bianca:

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