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L’Uomo Che Vendette La Sua Pelle | Un tatuaggio, Monica Bellucci e un grande film

Una regista tunisina, Kaouther Ben Hania, e una nomination all’Oscar per un film potente e ambizioso

L'Uomo che Vendette la sua Pelle
L'Uomo che Vendette la sua Pelle: il tatuaggio al centro del film.

MILANO – Ha iniziato la sua corsa trionfale a Venezia dove il protagonista, Yahya Mahayni – che faccia incredibile – ha vinto il premio Orizzonti come miglior attore. Poi si è guadagnato l’onore di essere il primo film tunisino nella storia degli Oscar ad essere candidato come miglior film internazionale (sconfitto da Un altro giro). Adesso, finalmente L’uomo che vendette la sua pelle, arriva in sala – il 7 ottobre – ad un anno di distanza dalla presentazione al Lido. L’uomo che leggiamo nel titolo è Sam Ali, un rifugiato siriano in Libano che, per poter raggiungere la sua amata in Europa, accetterà la “proposta indecente” di un quotato artista contemporaneo: farsi tatuare la schiena così da diventare lui stesso una prestigiosa opera d’arte e volare finalmente nel Vecchio Continente.

Yahya Mahayni, attore incredibile, interpreta Sam Ali.

Per un’idea tanto folle e provocatoria in realtà la regista Kaouther Ben Hania (potete recuperare il suo film precedente, La bella e le bestie, su CHILI) ha tratto ispirazione dall’opera d’arte Tim (2006 – 08) dell’artista Wim Delvoye, effettivamente tatuata sulla schiena di Tim Steiner. Una visione folgorante e simbolica, trasgressiva e controversa, che non aveva abbandonato la regista da quella retrospettiva al Louvre, tanto da spingerla a rielaborarla. A rendere nel film ancor più problematica la figura di Sam, opera d’arte vivente, è la natura di rifugiato siriano: la circolazione delle merci nel mondo globalizzato sa infatti essere tanto più libera di quella umana. Non è tuttavia questa l’unica contraddizione della nostra contemporaneità che si fa carne nel corpo di Sam: sono infatti anche altre le assurdità che, letteralmente “sulla sua pelle”, prendono vita in maniera provocatoria ma paradossalmente credibile.

l'uomo che vendette la sua pelle
Il tatuaggio, l’opera d’arte.

In quanto opera d’arte, da un lato può viaggiare tra Stati (il tatuaggio non a caso rappresenta il suo visto Schengen), ma dall’altro non solo non può interagire con i visitatori, ma può esser fatto oggetto di vendita ed esser bandito all’asta a cifre da capogiro. Ci si domanda dunque (legittimamente) se a quel punto Sam sia un uomo libero o non si sia semplicemente tramutato in servo di un nuovo padrone. È dopotutto lo stesso artista Jeffrey Godefroi (l’inquietante Koen De Bouw) ad autodefinirsi un autore mefistofelico, salvo poi dichiarare che in fondo non è la sua arte ad essere cinica, ma un mondo che consente agli esseri umani di avere un prezzo. Affinché L’Uomo che Vendette la sua Pelle vedesse la luce, ben sette Paesi hanno partecipato alla sua co-produzione e ritroviamo anche la nostra Monica Bellucci in versione inedita, con parrucca bionda nel ruolo di Soraya, la cinica assistente dell’artista.

Monica Bellucci come appare nel film.

Entrato nelle grazie dell’Academy, L’uomo che vendette la sua pelle pecca forse talvolta di essere un po’ didascalico, ma lo è in maniera del tutto genuina. Kaouther Ben Hania vuole ardentemente mostrare quanto allucinante sia un mondo – apparentemente – civilizzato in cui si accetta che convivano le istanze di chi è vittima di un destino crudele e di chi invece offre milioni di euro per puro sfoggio egocentrico. Quindi? Un’opera molto ambiziosa nei cui territori inesplorati era facile cascare e che invece sa mantenere una solidità e una coerenza drammaturgica, pur contaminandosi continuamente tra narrazione intima e provocazione plateale. Se cercate cinema che vi metta in moto il cervello, allora non perdetelo.

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