ROMA – Anthony Miller è un attore ormai alla deriva, tormentato dai demoni del suo passato. Quando finalmente ottiene un ruolo da protagonista in un film horror sugli esorcismi, Anthony sembra riprendere contatto con la realtà, ricucendo persino il rapporto complesso con sua figlia adolescente. Durante le riprese, però, inquietanti fenomeni iniziano a susseguirsi sul set del film, trascinando Anthony in un baratro di follia. Scena dopo scena, il comportamento dell’uomo si fa sempre più sinistro, rendendolo una pericolosa minaccia persino per sua figlia. L’Esorcismo – Ultimo Atto, esordio alla regia di Joshua John Miller – ora al cinema con Eagle Pictures – vede il grande e gradito ritorno di Russell Crowe nel ruolo di Anthony Miller, in attesa di vederlo anche in Rothko nel ruolo del celebre pittore americano Mark Rothko.
Un progetto che ovviamente finisce nella nostra rubrica Horror Corn (qui trovate le puntate precedenti), ma che necessita di una doverosa premessa, perché Joshua John Miller, oltre che ex-bimbo prodigio hollywoodiano tra gli anni Ottanta e Novanta (vi ricordate il piccolo Homer in Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow? Era lui!) è anche – e soprattutto – il secondo figlio di Jason Miller, vale a dire l’interprete di Padre Karras ne L’Esorcista di William Friedkin. Ed è cresciuto con quel film. Perché? Perché il padre Jason volle accompagnare ogni visione del figlio raccontandovi degli inquietanti e strani avvenimenti su un set che la storia, ci dice, essere stato realmente maledetto. Quindi L’Esorcismo, nato, su ammissione di Miller e del co-sceneggiatore (e compagno di vita) M.A. Fortin come una revisione dell’horror esoterico secondo canoni culturali nuovi e più attuali.
«Con L’Esorcismo, volevamo aggiornare la formula del film di possessione – tipo L’uomo eroico salva la donna dalle forze del male perché lei è troppo debole e semplice per combattere da sola – per un mondo in cui nessun gruppo possiede la bontà e la decenza rispetto agli altri, con l’obiettivo di raccontare una storia su come siamo tutti vulnerabili all’oscurità, a perpetuarla, se non affrontiamo i nostri demoni. Il diavolo può vendicarsi, ma quale altra scelta abbiamo?». Eppure non accolto al meglio a risultato finito. Girato, infatti, negli ultimi mesi di quel 2019 che sarebbe potuto essere l’ottantesimo anno di Miller-padre (scomparso, nel 2001, all’età di 62 anni), l’opera prima di Miller è stata tenuta in naftalina per ben cinque anni dalla Miramax.
Arriva a noi oggi, nel 2024, cavalcando l’onda del quasi omonimo (s)cult L’Esorcista del Papa di Julius Avery, ma dai toni scenici quasi dicotomici. La leggerezza da B-Movie mista a sangue, violenza fumettosa e un Crowe scanzonato nei panni di Padre Amorth, lascia qui il posto a un L’Esorcismo opera cupa sulle presenze demoniche, il dolore del lutto, le fragilità umane e gli abissi dell’animo che nel vestirsi di un abito meta-cinematografico da film maledetto cucito su misura di un Crowe intenso e padrone della scena, vede Miller disegnare una critica nemmeno troppo velata sul cinismo hollywoodiano del The Show Must Go On con ogni mezzo necessario. E quindi (tante) morti sul set, possessioni, un regista manipolatore dai metodi poco ortodossi (ovvero Goldberg che scimmiotta Friedkin) e produttori assenti.
E Miller costruisce pure bene la tensione, giocando di synch sonori, jump-scare classicissimi (forse troppo!) e atmosfere da autentico horror esoterico di razza pur inquadrato in una cornice di genere atipica. Al punto da permettersi perfino il lusso di un David Hyde Pierce intenso, paterno e brillante come personaggio secondario, che nei panni di Padre Conor – la cui laurea in psicologia alla Columbia University è un evidente omaggio allo psichiatra Niles Crane da lui interpretato nella sit-com Frasier (la trovate su Paramount+) – ruba la scena a più riprese con mestiere e classe. Eppure finisce tutto lì. Perché nel climax Miller sceglie di tirarsi indietro e di virare sui buoni sentimenti, la salvezza dell’anima e la ricongiunzione familiare, là dove c’era invece da spingere fino in fondo sul pedale dell’oblio.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che in questo modo L’Esorcismo è stato condannato allo status di film mancato per assenza di coraggio autoriale, ma in fondo ha perfettamente senso se ne inquadriamo il percorso. Nonostante le dichiarazioni di rito, infatti, l’opera prima di Miller non vuole essere una ricodifica del genere horror, né imporsi come un cult assoluto, è semplicemente il ricordo affettuoso di un figlio a un padre scomparso. Un padre che ne L’Esorcista interpretava un uomo fragile e pieno di dubbi sulla sua Fede, esattamente come l’agente scenico di Crowe, e di cui il figlio, forse, semplicemente sente mancare tantissimo la sua presenza. Pur con tutti i suoi difetti strutturali, ma a volte basta questo per fare di un film un buon film…
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