MILANO – Basterebbe Jesse Eisenberg che suona Hey You dei Pink Floyd alla recita scolastica. Basterebbe The Bright New Year di Bert Jansch messa ad amplificare l’ennesimo rifiuto ricevuto da Jeff Daniels. Anzi no, basterebbe anche Street Hassle di Lou Reed, lasciata andare per due minuti su quella corsa finale nell’Upper West Side. E invece no, perché Il calamaro e la balena di Noah Baumbach – nomination all’Oscar nel 2005 per la miglior sceneggiatura originale, lo potete vedere su Netflix – è molto altro, un mosaico pieno di frammenti preziosi destinati a rimanere negli occhi anche a molto tempo dalla visione. Perché? Perché è un piccolo film e, a volte, solo i piccoli film sanno essere grandi al punto da centrare, e riflettere, le nostre vite.
Qui siamo a Manhattan e abbiamo Jesse Eisenberg – mai lodato abbastanza, un fuoriclasse assoluto in qualsiasi film si trovi – che si chiama Walt Berkman, è un adolescente problematico con un padre ingombrante, Bernard (Jeff Daniels, da Oscar, peccato non abbia mai ricevuto una nomination in carriera), professore di scrittura creativa un tempo autore di successo. Mamma Joan (Laura Linney) è depressa, infelice e soffre l’ego smisurato del marito, mentre il fratello minore Frank ancora non ha capito cosa vuole essere e cosa vuole fare da grande: «Chi sono i filistei?» «Tutte le persone che non si interessano a nulla». «Ecco, allora probabilmente io sono un filisteo».
Potrebbe essere la solita commedia newyorchese, invece – minuto dopo minuto – Il calamaro e la balena cresce, diventa altro, qualcosa che sta a metà tra I Tenenbaum e Kramer contro Kramer, cinema e vita. Spesso si ride, ma si potrebbe piangere, come nella vita, come quando il piccolo Owen Kline (che è il figlio di Kevin Kline e Phoebe Cates) sta seduto sul divano ad ascoltare i genitori raccontare di un amore finito. Apparizioni strepitose di William Baldwin e Anna Paquin, ma il film rimane tutto scritto sulle facce di Daniels e Eisenberg, padre e figlio, un rapporto in equilibrio in cui ognuno dei due accetta i limiti dell’altro.
Si sa, non sempre Baumbach in carriera ha fatto centro (Giovani si diventa si fermava a metà), ma quando gli riesce (vedi il malvalutato Greenberg con Ben Stiller, ma anche la sceneggiatura di Barbie con la compagna Greta Gerwig), il suo cinema rimane addosso come un ricordo, come una vita prestata che non sapevamo di avere vissuto e pure pare nostra. Perché la lezione qui è che, alla fine, che si tratti di una famiglia, di una coppia oppure di un gruppo di amici, l’unica verità che conta sono le parole di Hey You dei Pink Floyd e quella frase che i due fratelli cantano davanti ai genitori, sperando di lenire il loro dolore e che quella famiglia continui per sempre a rimanere una famiglia: «Together we stand, divided we fall…».
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