ROMA – Una cosa andrebbe chiarita: in ambito cinematografico un flop commerciale non è sempre sinonimo di scarsa qualità artistica. Come dimostrò nel 2015 il 16° lungometraggio della Pixar, ossia Il Viaggio di Arlo (in originale The Good Dinosaur), ideato e inizialmente diretto da Bob Peterson, che lasciò poi la regia a Peter Sohn. Il motivo? Peterson, nell’estate del 2013, non riusciva a scrivere il terzo atto della storia, dunque l’intero reparto creativo venne passato alle mani di John Lasseter, Lee Unkrich, Mark Andrews e Peter Sohn, con la sceneggiatura firmata da Meg LeFauve, ossia la stessa di Inside Out.
Questo causò negli studi Pixar un vero e proprio terremoto, causato dal ritardo produttivo e, conseguentemente, arrivò lo slittamento del film: dal 30 maggio 2014 al 25 novembre 2015. Il film venne stravolto, ma ciò che segnò davvero l’arrivo de Il Viaggio di Arlo fu proprio l’uscita “condivisa” con l’adorato Inside Out. Una sovrapposizione che fece perdere alla Pixar un ingente quantità di dollari, tanto che tutt’ora (se escludiamo Onward uscito durante la pandemia) il film detiene il triste record di essere il lungometraggio Pixar dall’incasso più basso. Dunque, come asserirono in molti, Il Viaggio di Arlo fu stato considerato un flop, eppure la storia del dinosauro e del piccolo umano Spot andrebbe rivalutata e rivista in una giusta ottica, che dia al travagliato film lo spazio che merita tra i tanti capolavori dello Studio.
A partire dallo spunto iniziale della vicenda: il famoso meteorite ha sfiorato la terra e i dinosauri non si sono mai estinti. Tra loro c’è Arlo, che al contrario dei suoi fratelli ha paura un po’ di tutto. È goffo, timoroso, ansioso. Insomma, una sorta di teen-ager preistorico, che finisce per imbattersi in un altro cucciolo (umano), rimasto da solo. Insieme intraprenderanno un viaggio molto lungo (pieno di pericoli, sfide, incontri rivelatori), che li porterà ad un’epifania meravigliosa e rinfrancante. Insomma, Il Viaggio di Arlo, dietro il citato flop commerciale, nasconde invece una favola di accecante bellezza, in grado di far scaturire – a fine visione – diverse e fatidiche domande che non prevedono risposte.
La potenza del messaggio – in un film rivolto per lo più agli under 12 – con coraggio va a trattare temi come il lutto, la perdita, la paura. Provate a vederlo con un bambino, resterà incantato dagli splendidi paesaggi (del resto il film ha segnato un marcato miglioramento visivo), si lascerà trasportare dall’avventura e, soprattutto, farà scattare in lui il desiderio di approfondire questo percorso lastricato di scoperte e quesiti ancestrali. Più in generale, se il “rivale” Inside Out si faceva opuscolo (psico)terapeutico in grado di analizzare un’emozione, Il Viaggio di Arlo è cinema essenziale che si riappropria di una certa sensibilità stilistica, sposata perfettamente con l’elemento cardine dell’opera: la natura. Rivedetelo, dopo il mondo vi apparirà (forse) più bello.
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Qui una featurette originale de Il Viaggio di Arlo:
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