MILANO – Al cuore non si comanda, nemmeno quando la strada che ha scelto è un salto nel buio di cui non conosciamo le conseguenze. È il salto che fa Helena, una giovane studentessa ceca di economia, che vive a Praga, quando tra i banchi dell’università si innamora di Nazir, un giovane uomo afghano. Helena e Nazir sono tra i due protagonisti di My Sunny Maad, il film d’animazione della regista Michaela Pavlátová presentato in Italia ad Alice nella Città. Gli ottanta minuti del film sono un’acuta osservazione della realtà, e delle vite ordinarie di chi in quella realtà si ritrova. Anche se guardando indietro, è molto diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere ultimamente.
My Sunny Maad non è un film politico, anche se la politica fa inevitabilmente capolino sullo sfondo se si parla di certe aree geografiche. La vita di Helena cambia nel giro di pochi giorni: uno per cambiare nome e diventare Herra, uno per prendere un aereo dalla Repubblica Ceca verso l’Afghanistan e atterrare a Kabul, un altro per sposarsi. Non ci vuole molto perché la donna venga calata in un mondo a lei sconosciuto. Tanti, tra amiche e amici, l’avevano diffidata dal fare un passo così affrettato perché non aveva idea di cosa stava andando incontro. E in effetti Herra non ha idea di cosa aspettarsi dalla sua nuova vita in un Paese a lei sconosciuto.
Quello che fa da sfondo al film è l’Afghanistan del 2011, quello che si può definire già post-Talebano, quando Bin Laden sta per essere ucciso e uno spiraglio di luce sembra vedersi in fondo al tunnel. Abbiamo detto che non è un film politico, però, e infatti rimane in secondo piano. La notizia della morte di Osama Bin Laden passa solo alla televisione, niente di più. Sono altri i problemi che rimangono, così una volta lì Herra deve fare i conti con la condizione delle donne in quella cultura. A lei non va tanto male, perché la famiglia di Nazir – soprattutto il padre – è abbastanza liberale e non segue alla lettera tutti i dettami della religione. Tuttavia la nipote Rashan, di soli tredici anni, è pronta a sposare un uomo che ne ha quaranta.
C’è un altro problema che oscura la sua serenità: non può avere figli. I due decidono allora di adottare un trovatello, Mohammed (il Maad del titolo), che è solo al mondo e ha i muscoli atrofizzati. Il film di Michaela Pavlátová è un continuo osservare. Osserviamo i personaggi, il nucleo familiare e la società, ma anche questi si osservano tra loro. Herra osserva da straniera, Maad da emarginato per non essere conforme alla norma naturale. Sono loro i due “diversi” che avranno il coraggio di parlare e alzare la voce di fronte alle ingiustizie. Il risultato potrebbe però essere devastante se la società in cui vivono è decisa a zittirli.
È proprio Maad che dà a Herra una rinnovata forza per non perdere il suo spirito da combattente, in quell’Afghanistan soleggiato, proprio come dice il titolo. Perché è vero, lì c’è quasi sempre il sole – il problema è però ciò che accade sotto quel sole. E la storia è una storia vera: è tratta e adattata dal romanzo Frišta della giornalista Petra Procházková, che racconta di una donna russa catapultata nel mondo afghano per amore. My Sunny Maad una storia d’amore, sì, ma anche di coraggio. Non ha un finale felice, ma nemmeno triste. È un’ode ai compromessi, quelli che salvano la vita.
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