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La rivincita del classico: Il Ritorno di Mary Poppins

Poteva essere un tonfo clamoroso e invece la Disney è riuscita in un’impresa quasi impossibile

Dopo Julie Andrews: Il Ritorno di Mary Poppins
Dopo Julie Andrews: Il Ritorno di Mary Poppins

Il picnic al parco, la domenica mattina. Il profumo del bucato, appena lavato. La ninna nanna prima di andare a dormire, perché i sogni siano d’oro. Per davvero. Ecco, il concetto di classico è l’unico confine che separa un mondo in continua evoluzione, che corre veloce divorando tutto nel giro dell’ennesima moda passeggera, mantenendo il solco segnato dai miti e dalle leggende, dalle regole fondamentali e sì, anche tradizionali. Così, quando il cinema stesso insegue il nuovo utilizzando il vecchio, è bello (ri)trovare quei colori e quelle emozioni di una storia senza tempo, tornata sul grande schermo nella forma della più classica delle pellicole per tutta la famiglia, ieri come oggi. Rivoluzionaria, anarchica, vanesia. E allo stesso tempo empatica, spiritosa, dolce. A cinquantaquattro anni da quella Supercalifragilistichespiralidoso intonata da Julie Andrews, la tata inventata da P.L. Travers nei suoi romanzi, questa volta arriva nella Londra della Grande Depressione, scendendo dal cielo, come un raggio di sole che improvvisamente squarcia le nuvole cariche di pioggia e di problemi.

Una scena de Il Ritorno di Mary Poppins
Una scena de Il Ritorno di Mary Poppins

Questa volta, nell’adattamento de Il ritorno di Mary Poppins diretto da Rob Marshall, ad aprire l’ombrello sulla famiglia Banks è Emily Blunt che appare in mezzo al vento, riportando un aquilone. Materna, incantata, risoluta e sì, bellissima. Al suo fianco, cantando e illuminando Viale dei Ciliegi, il lampionaio Jack, interpretato da Lin-Manuel Miranda. Perché, del resto, non c’è classico migliore di quello sfumato da una tratto di novità, ed è uno spettacolo, al fianco della Blunt e quei quattro pinguini col cravattino, tutti assieme sul palco, a danzare e rappare come fossero a Broadway per un pubblico di cartoni animati in due dimensioni. Facendo tornare in mente ricordi di una spensieratezza ormai (troppo) lontana. Rob Marshall costruisce Il ritorno di Mary Poppins nell’unico modo possibile e concepibile per sopravvivere al mito: rispetta i canoni del classico, per far tornare al cinema un classicismo affettuoso, caloroso, musicale e rassicurante, come la filastrocca ripetuta prima di fare il bagno, opure come quella canzone sussurrata quando manca l’abbraccio più caldo di tutti: quello di tua madre.

Il giro in bicicletta su Viale dei Ciliegi.

Ecco dunque la Mary Poppins contemporanea: tutto è al posto giusto, spolverato per l’occasione, in quel grande appartamento in cui tutti noi, assieme al piccolo grande Michael Banks, siamo un po’ cresciuti. Ed è come quando si torna nella casa della nonna, con le porcellane sul camino e le scale dal legno scricchiolante, la stessa identica sensazione di ritrovare Mary Poppins, così lontana eppure così vicina al film del 1964. Scarpette rosse e ombrello parlante. Classica e moderna: Mary Poppins e la fantasia come bandiera, quasi una religione. Che sia il 1964 o il 2018. Un viaggio di mezzo secolo, in cui gli errori e gli ostacoli continuano ad essere gli stessi, con i bambini di ieri divenuti i grandi di oggi, passando di generazione in generazione, in un cerchio perfetto che spiega l’incredibile ad un pubblico moderno ormai abituato a tutto – CGI, effetti, eroi e supereroi – tranne che, appunto, alla semplicità di una fiaba e dei suoi archetipi dentro un linguaggio cinematografico che nessuno usa più e che, invece, sorpresa, è ancora incredibilmente efficace. Poteva essere un flop, invece è la riscoperta di un classico che ignora il tempo.

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