Se il costume crea il personaggio, allora un cappotto blu dalla linea scivolata e morbida, una sciarpa arancio a pois e un cappellino di paglia rossa, nell’identica tonalità dei guanti in pelle possono appartenere solo Mary Poppins. E con quale grazia resta impigliata nell’aquilone di Georgie Banks, planando e atterrando proprio come una ballerina. L’entrata a effetto di Emily Blunt in Il ritorno di Mary Poppins riporta in vita nella maniera migliore uno dei personaggi più amati dell’intero universo Disney, proiettandoci da subito in un mondo fiabesco.
Tata o fata? Forse tutt’e due le cose. Di sicuro la graziosa istitutrice dal carattere d’acciaio sa come conquistare i cuori di adulti e bambini e come stupire tutti con un guardaroba da favola, ideato dalla grande costumista Sandy Powell. La parola d’ordine per gli outfit di Miss Poppins è stata di certo leggerezza, con un pizzico di fantasia e tanta femminilità. Perché la Mary voluta dal regista Rob Marshall non è ovviamente sexy, ma è una donna bella e il suo corpo si muove soave tra scenari realistici e palcoscenici sottomarini. Premio Oscar per Shakespeare in Love, The Aviator e The Young Victoria (sempre con la Blunt) e nominata in totale per dodici volte, Sandy Powell ha un metodo infallibile per creare i suoi costumi: partire dalla stoffa.
Può sembrare bizzarro, ma ancora prima del bozzetto sono quei piccoli pezzi di velluto o seta a darle le indicazioni da seguire per “realizzare” un personaggio e restituirgli verità attraverso il corpo dell’attore. Poi arriva lo studio dei libri fotografici e di pittura e il confronto con gli altri artisti/artigiani del team, per trovare lo schema di colori più adatto e la combinazione migliore di tessuti. Anche in questo caso il suo lavoro è stato minuzioso e consistente. Per i 450 costumi, le 467 paia di scarpe e i 228 cappelli realizzati per Il ritorno di Mary Poppins il budget è stato di due milioni e mezzo di dollari. Una fortuna incredibile, come ribadito dalla stessa Powell.
Ma qual è stata la sfida più grande da affrontare? Riuscire a dare a Mary Poppins una figura agile ed eterea, senza privarla dello spirito civettuolo. E per farlo Sandy Powell si è ispirata ad una delle grandi icone hollywoodiane della danza, Ginger Rogers. Sì, proprio colei che, paragonandosi a Fred Astaire, disse di fare tutto quello che faceva lui, ma «all’indietro e sui tacchi alti». Un’altra fata insomma. Ambientato durante la Grande Depressione, ventiquattro anni dopo gli eventi narrati nell’opera del 1964, il film di Rob Marshall trasforma la tragedia degli anni ’30 in una fiaba incantevole, proprio come facevano i musical dell’epoca d’oro di Hollywood.
La Powell ha rinunciato agli abiti fluttuanti in favore di gonne lunghe con pieghe che permettessero un movimento libero, ma ha osato con le stampe, privilegiando i vezzosi pois, e i colori. A partire dal blu del cappotto che Mary indossa nel suo arrivo a casa Banks; non la classica tonalità navy, tradizionalmente associata alle tate dell’epoca, ma una sfumatura brillante di cobalto. Un lampo di colore in una realtà grigia e triste. Perché la magia passa anche attraverso questi piccoli particolari. Seguendo fedelmente il modello di Julie Andrews, la Powell ha aggiunto poi una mantellina al cappotto di stile edoardiano.
E come tocco finale, ha sistemato un pettirosso sul cappellino di Mary, chiaro omaggio all’uccellino meccanico con cui la Andrews “duettava” cantando Un poco di zucchero. A dispetto della dolcezza dell’immagine, Powell e Marshall hanno discusso a lungo sul dettaglio. Marshall era convinto che quel complemento potesse risultare eccessivo. Ha dovuto ammettere invece che fosse assolutamente centrato. Anzi, «praticamente perfetto sotto ogni aspetto».
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