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Tra Shakespeare e l’Africa | Il Re Leone e la sua potente lezione di vita

Il film, oltre essere un’esperienza visiva incredibile, rafforza la filosofia del Classico Disney del 1994

ROMA – Possiamo dirlo? Sì, ne Il Re Leone del 1994 c’era già tutto. Quel Classico Disney che parlava soprattutto ai più grandi, con scene e metafore che sarebbe rimaste impresse nella memoria di un bambino diventato poi adulto, tornando oggi a fischiettare un motivetto scacciapensieri. Trent’anni dopo, le matite con cui si disegnavano quei cartoni animati sono finite in fondo ad un cassetto, e il mondo dei cartoon, da tempo, lo si immagina direttamente su un computer. Da qui si parte per un nuovo viaggio.

La Rupe dei Re

Eccolo, l’epico viaggio di un erede al trono, che diventa un altro cinema, ancora. Lontano addirittura dai live-action con cui la Disney reinventa sé stessa, sbancando i botteghini. Non poteva essere altrimenti, non poteva che essere strabiliante l’esperienza visiva de Il Re Leone di Jon Favreau. Cinema sperimentale, film dal vero. Qualcuno lo chiama photo-real. Ma poco importa: la sostanza resta uguale, il Cerchio della Vita risplende inarrestabile in un’ora e quaranta di emozioni (s)conosciute. Fin dall’abbagliante incipit, rimasto sacralmente identico.

Mufasa e il piccolo Simba

Gli elefanti, le gazzelle, gli ippopotami e i rinoceronti; l’inchino di Zazu a Sua Maestà Mufasa, un vecchio babbuino di nome Rafiki, lì sulla Rupe dei Re, mostrando al mondo il piccolo Simba. Mentre Lindiwe Mkhize e Lebo M. intonano la potente Circle of Life/Nants’ Ingonyama (per l’Italia la splendida versione è di Cheryl Porter). Tutto resta uguale, tutto cambia: le immagini Jon Favreau (e le note di Hans Zimmer) sembrano uscire dallo schermo, facendoci trovare nel bel mezzo di una tempesta di emozioni, in cui il passato e il futuro – per un attimo – combaciano proprio come un cerchio perfetto.

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Hakuna Matata

Ecco, dunque, che la lezione di vita de Il Re Leone torna dal passato, in un esercizio della memoria in cui i temi nobili (quasi aurei) di allora sono forse ancor più marcati. Le responsabilità di un Re, l’equilibrio da preservare, l’inquinamento e l’odio portato da un usurpatore, di diritto il più cattivo tra i cattivi Disney. E ci sono le stesse intenzioni, esaltate da una forma diversa ma efficace, senza che Jon Favreau reinventi nulla. Anzi, il bravo Favreau impreziosisce le sequenze, asciuga la fiaba e potenzia commedia e tragedia, dando loro un forte senso di realtà.

Simba e Nala

Anche questa volta, nella traumatica sequenza degli gnu, ci ritroviamo a sperare che Mufasa ce l’abbia fatta. Che questa volta, le cose vadano diversamente. E invece lo spregevole Scar è ancora là, guardare negli occhi suo fratello che muore, in quella sorta di Amleto. Tra classico e moderno, tra Shakespeare e la filosofia Disney: il nichilismo (!) di Timon e Pumba e lo spirito pulsante dell’Africa, con i suoi tramonti e i suoi riflessi ancestrali, dove l’epopea di un principe altro è che il suo ritorno a casa. Sì, sembra quasi poesia.

Qui potete vedere il trailer de Il Re Leone:

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