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Il palco, il successo, poi il buio: un libro racconta il lungo viaggio di Robin Williams

Dai sogni all’incubo: la biografia scritta da Dave Itzkoff ripercorre il percorso dell’attore

La copertina di Robin Williams - Storia di una vita, edito da Mondadori.

La prima parte del libro si chiama Cometa. La seconda, invece, è intitolata Stella. La terza, con altri otto capitoli compreso l’epilogo, è chiamata Supernova. L’autore di Robin Williams – Storia di una vita, Dave Itzkoff – scrittore, giornalista e reporter per il New York Times – non ha scelto a caso questi tre titoli. Gli astri, infatti, pur bellissimi, misteriosi, irraggiungibili, hanno una loro vita: nascono, esplodono, poi muoiono. E quello che vediamo da qui, spesso, non è che l’ultimo bagliore prima che tornino ad essere polvere infinitesimale (per dirla à la Jack Kerouac). Lassù, persi nella volta celeste, tra gli Dei, gli eroi, i miti immortali.

1979, i giorni felici di Happy Days: Robin Williams tra Penny Marshall e Henry Winkler.

Le stelle, quindi, non casuali in questo romanzo dentro il romanzo che, in realtà, romanzo non è. Perché è un libro vero e solido, che racconta la storia vera di un uomo partito da Chicago e arrivato – sudatissimo, come precisa un commovente prologo – sui caldi palchi di San Francisco, davanti a un pubblico annoiato e stanco dell’ennesimo stand up comedian, senza passato né futuro. Non avevano fatto i conti con lui, vestito con un completo marrone e un improbabile cappello russo schiacciato sulla testa, signor nessuno ancora per poco. Si chiama Robin Williams, ha ventisei anni e di mestiere vuole fare l’attore.

La locandina promozionale di An Evening At The Met. Era il 1986.

Parte così la biografia di Robin, con quella folgorazione e con gli spettatori che, in pochi minuti, vengono rapiti dalla sua capacità di essere tutto e il suo contrario, in un numero comico indefinibile e straordinario. La biografia, arrivata in Italia grazie a Mondadori, rilegge, esalta e poetizza (ancora di più, sì) l’esistenza dell’attore, tracciando una linea che, come una cometa, taglia in due il cielo, viaggia talmente veloce e talmente potente che è già tanta la fortuna nel vederla. E chissà qual è stato il desiderio di Robin, quel giorno a San Francisco, poco dopo essere sceso dal palco, abbracciato da un applauso che poi lo avrebbe portato dritto tra le stelle, con un volo di andata e ritorno, vestendo i panni (guarda caso) di un alieno, nella serie Mork & Mindy.

La follia di un genio. San Francisco, 1988

Punti di partenza, punti di arrivo. Svolte, interpretazioni, aspetti pubblici e privati, le testimonianze di amici, colleghi, della moglie Susan Schneider, i momenti chiave: Itzkoff osserva Williams lungo 504 pagine cariche di ricordi, di cinema, di verità, di dramma. Perché, e lo sappiamo, il viaggio, con quel finale inaspettato e brutale in una maledetta notte d’agosto, è di quelli che restano, oltre qualsiasi immaginazione. E l’immaginazione – nella sua filmografia, ripercorsa tutta, da Good Morning Vietnam a L’Attimo Fuggente, Hook, Will Hunting, La Leggenda del Re Pescatore, e tutti gli altri tasselli – è ciò in cui Robin Williams ha sempre creduto, fino all’ultimo, fatale atto.

1991, con Terry Gilliam a Central Park sul set de La leggenda del re pescatore.

Sfogliando il libro, pagina dopo pagina, curiosi e ansiosi, sappiamo sempre che quel momento è lì dietro, pronto a arrivarci addosso, ieri come oggi, senza un motivo che mai capiremo fino in fondo e forse è giusto così perché era la sua vita. E che però, chissà, nemmeno Robin ha mai capito, impaurito da quell’ombra oscura che lo inseguiva, portando dentro una malattia bastarda e spaventosa da cui liberarsi prima che i ricordi, così come i copioni che leggeva e dolorosamente non ricordava, diventassero una macchia offuscata e illeggibile.

1991: con Julia Roberts e Steven Spielberg sul set di Hook.

Pur nel modo più composto possibile alla fine del libro arriva – inevitabile – quella verità, quel momento che ha chiuso e anticipato, quattro anni fa, la caduta di una stella che pensava di non saper più brillare (e non era vero, andate a rivedervi Boulevard). Così, ecco la malinconia e il groppo in gola, istanti persi, con i ricordi che lasciano uno smorfia a metà tra sorriso e lacrima. Cosa resta quindi, di quei giorni trascorsi a far ridere e piangere la gente in una sala cinematografica tanto a New York quanto a Tokyo? Forse proprio quella polvere di stelle, implosa tra gli astri una mattina sbagliata d’agosto, finendo per essere cullata dalla baia di San Francisco. Proprio lì, dove tutto era cominciato.

La lettera: Caro Robin Williams, ma quanto è difficile riempire il vuoto della tua assenza…

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