ROMA – Antonio, un giovane membro dei Carabinieri, prende in custodia due bambini – Luciano di nove e Rosetta di undici anni – per accompagnarli da Milano in un istituto a Civitavecchia. I due provengono da una situazione familiare disastrata dove la madre faceva prostituire la figlia. Mentre sono in viaggio si instaura lentamente tra l’uomo e i due bambini un solido rapporto di amicizia e affetto fatto di delicate attenzioni e comprensione reciproca. Parte da qui Il Ladro di Bambini (disponibile su Minerva Classic che trovate sia su Prime Video che su The Film Club), un film di Gianni Amelio ispirato ad un vero fatto di cronaca e con protagonisti Enrico Lo Verso, Valentina Scalici e Giuseppe Ieracitano, vincitore del Gran Premio speciale della giuria a Cannes 45, di cinque David di Donatello 1992 e di un Nastro d’argento come Miglior Regista.

Il Ladro di Bambini vede Amelio proseguire il suo discorso tematico-autoriale di infanzia negata e genitorialità impossibile a concretizzarsi dopo La fine del gioco del 1970 e quel Colpire al cuore del 1983 che segnò la prima collaborazione con lo sceneggiatore Vincenzo Cerami (proseguita poi con I ragazzi di Via Panisperna, Porte aperte), raggiungendone il punto più alto in termini non solo commerciali e filmici, ma anche di comprensione ed emotività nel raccontare della demitizzazione della famiglia, della sopravvalutazione del ruolo del genitore biologico, e del valore dei legami: «Quelli biologici sono i tuoi unici figli? Non sono tuoi figli anche quelli che ami, che cerchi, quelli che ti cercano e non quelli che per caso hai trovato, che possono essere intesi come oggetti che solleticano la tua autostima o addirittura la tua sicurezza di essere una persona sociale?».

Sullo sfondo, un viaggio per l’Italia, da Milano a Civitavecchia passando per Bologna, Roma e una deviazione in una Gela mai così luminosa e accogliente. Mete di cui, in realtà, Amelio mostra tra i silenzi e le attese, immagini da cartolina alla rovescia – lucide e senza filtri – di paesaggi disadorni e degradati, squallidi e provvisori, fatti di stazioni fredde, abusi edilizi, caserme e commissariati, che determinano un’oggettività sterminata riportata in immagine da una cinepresa che vede lentamente spogliare lo sconcerto e il dolore, per lasciare posto alla tenerezza e all’amore. Quel dolore però, ne Il Ladro di Bambini, è sempre lì, in agguato, lasciato emergere all’occorrenza nel cinismo degli integerrimi uomini di legge e di individui incapaci di mettersi, anche solo per un attimo, nei panni di Luciano e Rosetta perché bloccati dalle uniformi, dai ruoli sociali e dai valori in essi promossi.

«Oggi, in Italia, ma credo anche altrove, camminiamo fianco a fianco ma non insieme. Come si rompono, quindi, le barriere di tutte le uniformi?» si chiede Amelio. Luciano indossa quella del bambino malato, taciturno e problematico, Rosetta quella della bambina prostituta, vittima di una madre naturale carnefice e disperata, ma pur sempre prostituta. Ed ecco quindi le barriere, l’anaffettività, la distanza, i soprusi emotivi e il (finto) perbenismo, i conflitti raccontati da Amelio in una regia intima e impercettibile nelle graduali notazioni psicologiche di primi e primissimi piani densi. Tutte componenti in cui inizialmente inciampa pure Antonio nel suo essere Carabiniere giovane e zelante. Un’uniforme, la sua, di duplice espressione di un ruolo sociale ma anche effettivo. Questa comunanza di uniformi, secondo Amelio, è la ragione per cui: «Sono tre persone che per forza devono cercare di camminare insieme».

Da qui l’essenza del viaggio de Il Ladro di Bambini che il potere del cinema – e del viaggio narrativo come esplicitazione degli archi di trasformazione – finisce con lo sgretolare le barriere dei tre agenti scenici sino a formare un surrogato familiare più vero di (alcune) di quelle naturali. Un’unione fatta di gesti concreti d’affetto e amore e di comprensione e prime volte che arricchiscono di senso e di valore un racconto avvolto di un velo fiabesco poetico ed inimitabile che ha finito con il rendere quel viaggio in Italia senza fine, ma soprattutto senza tempo. La fine arriva però nella pellicola di Amelio. Un finale aperto, malinconico, che genera disillusione ma anche forza. Forse ce la faranno Luciano e Rosetta, ma sono soli, non possono che contare su loro stessi, e nessun altro…
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