MILANO – Sono passati 120 anni da quel fatidico “ballo dei 41” che diventò uno degli scandali più conosciuti in Messico all’inizio del XX secolo. Fu uno scandalo che suscitò lo sdegno generale di tutta l’opinione pubblica e che, per una volta, riuscì a mettere d’accordo anche chi aveva posizioni politiche diverse su un fronte comune: si trattava di un evento da condannare. E quale modo migliore per commemorarlo e farne conoscere la storia se non attraverso un film? Ci ha pensato Netflix con Il ballo dei 41, diretto da David Pablos e con Alfonso Herrera, Emiliano Zurita e Mitzi Mabel Cadena. Un salto all’indietro nella Storia per rivivere un tempo così lontano da noi.

Ci troviamo nel 1901, nel pieno di quello che i messicani ricordano come Porfiriato, cioè il trentennio che ha visto come Presidente alla guida del Paese Porfirio Díaz. Il protagonista della nostra storia è un uomo di nome Ignacio de la Torre y Mier, inizialmente uomo d’affari e proprietario terriero che diventò uomo politico dopo le nozze con Amanda Díaz, la figlia del Presidente. Una posizione sociale del tutto agiata, ma anche piena di insidie e tranelli per far apparire all’opinione pubblica un’immagine perfetta della famiglia presidenziale. È proprio a Città del Messico, all’epoca una delle città più vive del Paese, che il 17 novembre si consumò quello che venne successivamente definito come un affronto ai diritti umani.

Sarà bene sottolineare come all’epoca, in Messico, l’omosessualità non fosse ufficialmente illegale, ma non era certo vista di buon occhio e le conseguenze, se scoperti, potevano essere gravi. Venivano quindi organizzati balli e feste per soli uomini o sole donne rigorosamente clandestini. E proprio durante una di queste feste, quella fatidica sera la polizia mandata dal governo irruppe con un raid in via la Paz. Furono in tutto quarantuno gli uomini arrestati (da qui il nome con cui si ricorda l’evento), ma non fu solo l’azione brutale della polizia a creare lo scandalo. Tra quei quarantuno uomini, c’era anche Ignacio de la Torre, esponente della famiglia presidenziale.

Ovviamente, come spesso accade in casi simili, il governo cercò di tenere nascosta la cosa mentre la stampa pubblicò tutto nei minimi dettagli. Tra chi gridava alla violazione dei diritti umani e civili e chi invece accusava il governo porfiriano della stessa depravazione – visto che de la Torre non solo era coinvolto, ma era uno degli organizzatori – il Paese si ritrovò a vivere un periodo di caos, dove la censura e l’omofobia prevalente dell’epoca si davano la spalla per far diventare illegali quelle danze considerate indecenti. Feste che comunque non cessarono, e continuarono ad essere organizzate, semmai ancora più segretamente di prima. De la Torre morì nel 1917 e dieci anni dopo Díaz venne deposto a seguito della rivoluzione messicana.

“Il ballo dei 41” costituì un precedente che per molto tempo consentì alla polizia di eseguire incursioni e arresti. Il fatto è tuttavia rimasto impresso nella memoria del popolo, tanto che ancora oggi viene commemorato dalla comunità LGBT messicana, ha ispirato diverse opere tra canzoni e poesie e, in generale, come ricorda lo scrittore militare Francisco L. Urquizo, la menzione del numero 41 è diventata un tabù. Nonostante la tragicità del fatto, molti considerano quell’evento come fondamentale per aver posto, per la prima volta, la questione dell’omosessualità in Messico davanti all’opinione pubblica. Uno dei tanti antecedenti che possono farci capire quanta strada abbiamo fatto, e quanta ce n’è ancora da fare.
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Qui potete vedere il trailer de Il ballo dei 41:
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