ROMA – La sveglia alle tre, tutte le mattine, e giù in mare, a pescare, fino alle otto, perché poi suona la campanella della scuola. La scuola, appunto, un posto terribile se sei l’unica che sente e parla in una famiglia di pescatori sordomuti che, un po’ per abitudine, un po’ per necessità, un po’ per paura, dipendono quasi totalmente da te. La te in questione è Ruby Rossi (Emilia Jones, è nata una star!) che, per uno strano incrocio del destino, non solo è l’unica dei Rossi a poter parlare e sentire, ma ha anche un dono pazzesco: saper (davvero) cantare. Però si sa, la vita è beffarda e allora a casa nessuno la può ascoltare quando canta Etta James, e quindi per Ruby il sogno di frequentare una prestigiosa scuola potrebbe infrangersi con la necessità di dover continuare ad aiutare la propria famiglia, perché l’amore e il sacrificio potrebbero valere di più della realizzazione personale.

E dunque ecco che nella vita di Ruby si incrociano il dovere e l’amore, l’unione e la libertà, il silenzio e il fragore. Una vita come quella di Ruby che, in due ore scarse, è capace di incantare e spiegare quanto sia necessario perseguire la propria strada, nonostante tutto. È di questo in particolar modo che parla CODA – tripudio al Sundance 2021, e tre Oscar tra cui Miglior Film –, arrivato in Italia con il discutibile titolo I Segni del Cuore (lo trovate in streaming su CHILI), diretto da Sian Heder nonché remake più o meno diretto del francese La Famiglia Bélier, film rivelazione del 2014 diretto da Éric Lartigau. Ma, nonostante sia appunto un remake – la sceneggiatura ha diverse differenze, in fondo lì eravamo nell’ovest della Francia, qui in Massachusetts – nella versione di Sian Heder le cose appaiono molto più reali in quanto i membri della famiglia sono interpretati da attori sordomuti che fanno parte anche dei deafmovie (un sottogenere con protagonisti i sordi), tra cui Troy Kotsur, Daniel Durant e la premio Oscar Marlee Matlin.

Ma, oltre agli aspetti tecnici, I Segni del Cuore – CODA, è un film vero anche dal punto di vista narrativo. Seguendo il filo del coming-of-age disfunzionale, la storia di Ruby è quella di una ragazza che, ogni giorno, deve mantenere un instabile equilibrio, dovendo occuparsi della famiglia – che viene considerata alquanto stramba dalla comunità – e intanto vuole (e deve) vivere come una normale diciassettenne. La famiglia nel film, nel senso stretto del termine, è un elemento marcato e ingombrante, rappresenta l’amore puro, il nido, la certezza granitica, eppure, come spesso accade, è anche l’insormontabile ostacolo da superare per spiccare definitivamente il volo e, in qualche modo, tornare a respirare. Così il parallelo con il canto diventa fondamentale: Ruby, come dice il suo professore di canto Bernando (Eugenio Derbez), ha una voce in grado di dire qualcosa, ma è bloccata, ferma, senza ossigeno.

Per cantare, e per farsi ascoltare anche dalla sua famiglia, Ruby deve imparare a respirare, mollando gli ormeggi e, con un pizzico di sano egoismo, pensare di più a sé. Solo in questo modo, solo seguendo la strada tracciata può liberarsi e dunque (ri)avvicinarsi alla propria famiglia. Rinunciando (in parte) a loro, e loro rinunciando (in parte) a lei, i protagonisti de I Segni del Cuore – CODA (acronimo di Child of deaf adult, ossia un figlio di una persona non udente) si rendono conto di quanto siano indispensabili l’uno con l’altro, ma contemporaneamente di quanto sia necessario affrontare la vita in modo diretto, e di affrontare lo spettro emozionale, rabbia compresa. Da questo punto di vista, la pellicola di Sian Heder – complice l’immaginario poetico che possiedono gli Stati Uniti – funziona molto di più dell’originale, riuscendo a smuovere testa e stomaco. E poi, se ci si mette anche un brano come Both Sides Now di Joni Mitchell, nella fulminante versione di Emilia Jones, allora non resta che decretarne tutta la sua bellezza.
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Qui il trailer de I Segni del Cuore – CODA:
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