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I Cento Passi | Il mito di Peppino Impastato, la politica e un film divenuto un classico

Società, mafia, Stato, politica: quello di Marco Tulio Giordana è un film memorabile. Ma rivisto oggi com’è?

I Cento Passi
Luigi Lo Cascio e Claudio Gioè in una scena de I Cento Passi.

MILANO – Cento passi. I cento passi cui si riferisce il titolo sono la misura della distanza da coprire per raggiungere, partendo da casa Impastato, l’abitazione di Tano Badalamenti, capo mafioso della cosca locale giunto ai vertici dopo l’omicidio del predecessore Cesare Manzella, saltato per aria nel 1963 nel contesto dell’intricata Prima Guerra di Mafia. Marco Tullio Giordana ci racconta la storia di Peppino Impastato – nipote di Manzella – che scopre con la morte dello zio l’esistenza della mafia e, disgustato dagli eventi, decide di combatterla. Come è noto, Peppino si avvicinerà al PCI e, poi, a Democrazia Proletaria, ma soprattutto fonderà Radio Aut, megafono per le denunce e veicolo dei suoi attacchi di audace sarcasmo anti-mafioso. Un’arma non violenta ed efficacissima, tanto che Peppino, alla lunga, verrà ucciso.

Luigi Lo Cascio ne I Cento Passi
Luigi Lo Cascio ne I Cento Passi

L’occasione per girare il film che oggi rivediamo nella nostra sezione Revisioni (qui le altre puntate) fu data dalla riapertura dei fascicoli sulla morte di Peppino Impastato e il conseguente rinvio a giudizio di Badalamenti quale sospetto mandante, nel 1997. Eh sì, perché subito dopo a quel maledetto 9 maggio 1978 – stesso giorno della morte di Aldo Moro – il fatto non fu classificato come omicidio (“come per Pinelli e Giangiacomo Feltrinelli”, si dice nel film), dato che gli assassini edificarono uno scenario – peraltro poco credibile- sul luogo del delitto, come se Peppino avesse cercato di compiere un attentato e qualcosa fosse andato storto (la mafia non si accontenta di farti fuori, vuole anche che la tua memoria sia infangata). Storia italiana, anzi molto italiana, quella di Peppino, un bravissimo Luigi Lo Cascio, al suo esordio al cinema dopo tanto teatro.

Uno dei momenti chiave de I cento passi.

Ma chi è Peppino? Un ragazzo che, come molti coetanei, nella seconda metà degli anni Sessanta si avvicina alla contestazione, alla sinistra extraparlamentare e, poi, alle radio libere concesse dalla Corte Costituzionale nel 1974. Ma qui però non siamo nella Correggio di Radiofreccia, né nelle stanze della borghesia parigina di The Dreamers (bellissimi film entrambi). Per il povero Impastato, la contestazione della società e della cultura dei padri (e di suo padre in particolare, Luigi Maria Burruano, in realtà zio di Lo Cascio) non può limitarsi a rock o alla liberazione sessuale, perché ad opprimere la sua generazione, in quei luoghi, c’è la mafia, quella vera, quella che compra la vita della gente con i suoi “favori”, elegge i piccoli sindaci, specula sull’edilizia siciliana e importa eroina grazie ai suoi contatti oltreoceano.

i cento passi
Luigi Lo Cascio e Claudio Gioè

Questa è la sua battaglia, ed è obbligata e totalizzante, come dimostra il rapporto con il personaggio interpretato da Roberto Zibetti (già Boris proprio nel film di Ligabue del ’98) e l’occupazione simbolica della radio. Spirito libero nell’isola dei Vespri, Impastato si era avvicinato al PCI (tramite il pittore Stefano Venuti, interpretato da Andrea Tidona) proprio per le sue prese di posizione contro la mafia, per poi iniziare l’attività politica appoggiando le rivendicazioni dei contadini contro la costruzione della nuova pista dell’aeroporto di Palermo. Ma quasi subito il Partito e le sue strategie cominciano ad andargli strette, e allora fonda il suo giornale, l’Idea Socialista, esordendo con l’editoriale dal famoso titolo “La mafia è una montagna di merda”. A questo punto, ne I Cento Passi, sale in cattedra il padre, Luigi Impastato (un perfetto Gigi Burruano), incarnazione del corto circuito familiare mafia-contestazione e preoccupatissimo per la sorte di un figlio (che sembra non rendersi conto della pericolosità di certa gente), ma al contempo incapace di agire, perché egli stesso è un prodotto di quel mondo da cui ormai non può sottrarsi e con cui Peppino non accetta nessun tipo di compromesso (disperanti alcune sequenze, dalle liti casalinghe, al viaggio in America e l’incontro con il figlio nel ristorante).

I cento passi
L’immagine iconica del film

I cento passi è un film memorabile, più per l’intensità che raggiunge in diversi momenti che per la meticolosità e complessità del racconto. Certo, Peppino è il buono, mentre gli altri si dividono tra cattivi e comparse ininfluenti, ma in fondo è normale che sia così con storie di questo tipo, in cui quel che interessa non è tanto la verifica storica dei fatti, quanto la rivalutazione di un personaggio, un inno a chi ha dato la vita per una causa diventata, con il tempo, patrimonio comune. L’operazione (politica) che fa tra le righe Giordana è però anche un’altra, e cioè quella di provare a richiamare all’ordine e all’unità la sinistra italiana, in quegli anni dilaniata – seppur al governo – dalle divergenze tra Prodi e Bertinotti, prima, e quelle tra lo stesso Bertinotti e Cossutta, poi. Attraverso la figura di Peppino Impastato, il regista sembra suggerire il superamento delle divisioni (evocate nella discussione tra Peppino e Venuti), e anche riportare alla luce quelli che – secondo lui – sarebbero i valori fondanti della sinistra italiana: la voglia di giustizia, la lotta alla mafia, la libertà di espressione e satira, la difesa degli ultimi. Tutti temi che, dopo la sconfitta elettorale, verranno effettivamente rilanciati dai banchi dell’opposizione per un decennio, e alcuni dei quali saranno usati strumentalmente (o in modo caricaturale) da una parte del populismo post-berlusconiano. Altri tempi…

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