ROMA – La scomparsa di Bruce Lee, il 20 luglio 1973, ha rappresentato uno dei grandi misteri insoluti della storia del cinema. Gli eventi li conosciamo. Un edema cerebrale non opportunamente curato e trascinato per mesi dai suoi ritmi di lavoro serrati. Una più che probabile reazione allergica dovuta al meprobamato contenuto nell’Equagesic che l’attrice Betty Ting Pei gli aveva somministrato per alleviare quella che sembrava essere l’ennesima emicrania, e una sequela infinita di ipotesi che parlarono – perfino – di un complotto internazionale ordito dall’influente e potente triade Sun Yee On. Il suo fondatore, Heung Chin, era il padre degli attori-e-produttori cinesi Charles Heung (Kung-Fu Massacre) e Jimmy Heung. Alla sua morte è tristemente associato I 3 dell’Operazione Drago di Robert Clouse, il film della svolta che Lee, purtroppo, non vide mai sul grande schermo.
Fu presentato in anteprima al Grauman’s Chinese Theatre di Los Angeles il 17 agosto 1973 per poi arrivare nei cinema statunitensi due giorni dopo. Una scelta che generò molto malcontento oltreoceano lato oriente visto che nei cinema di Hong Kong I 3 dell’Operazione Drago verrà distribuito soltanto il 24 ottobre successivo. Questo per via della sinergia produttiva tra la Concord Production Inc di Raymond Chow e Bruce Lee e la Warner Bros Pictures che, oltre a curarne la distribuzione globale (tranne in Cina dove fu distribuito dalla Golden Harvest) mise in dote un budget di appena 850.000 dollari: incasserà oltre 90 milioni di dollari world-wide nella sola finestra distributiva primaria. Senza considerare quindi le re-release e gli anniversari perché a quel punto l’ammontare al box-office del film si aggira ai 400 milioni di dollari tondi-tondi: uno degli high-concept più profittevoli di sempre.
Un risultato possibile grazie allo straordinario mix di spy-movie, blaxploitation e cinema da combattimento purissimo dello script firmato Michael Ailin (Il titolo? Blood and Steel) che unisce eroismo e momenti comico-brillanti al respiro libero e selvaggio del suo tempo tra la colonna sonora funky orientaleggiante di Lalo Schifrin, karateki-afro, riflessioni sul razzismo e un climax specchiato degno del wellesiano La signora di Shanghai. A cesellare il successo de I 3 dell’Operazione Drago le sequenze di lotta coreografate personalmente da Bruce Lee su cui Pauline Kael di espresse così tra le righe della recensione pubblicata sulle colonne del The New Yorker: «Bruce Lee era il Fred Astaire delle arti marziali. Veloce, agile, molti dei combattimenti che potevano semplicemente essere brutali, si presentavano come coreografie fulminee». Mai così tonico, forte, esplosivo Lee come ne I 3 dell’Operazione Drago, ma soprattutto intenso.
In uno dei momenti chiave del film, quando Lee sconfigge in duello O’Hara (Bob Wall, in origine Chuck Norris che rifiutò perché: «Una sconfitta contro Lee è stata abbastanza per me») così da vendicare il suicidio indotto di sua sorella Su Lin (Angela Mao Ying), compie uno sguardo, un’espressione, che la cinepresa di Clouse lascia vivere nell’inquadratura in una delicata zoomata in avanti. Rivedete quella scena oggi perché lì dentro è racchiusa tutta la bellezza, la bravura e il talento di Bruce Lee, artista completo che andava ben oltre le spettacolari coreografie da combattimento da cui (in fondo) è stato limitato. Non a caso, nonostante il suo retaggio cinquantennale, c’è uno, tra gli aspetti de I 3 dell’Operazione Drago, che viene sempre poco menzionato: la sua filosofia. Dei quattro film realizzati è quello in cui Lee esprime alcuni dei concetti chiave del Jeet Kune Do da lui teorizzato nel 1967.
Si tratta di una filosofia delle arte marziali frutto dell’esperienza di Lee nel combattimento, influenzata dall’Eclettismo, il Buddhismo Zen e il Taoismo, ricalibrata da Lee in funzione di una disciplina marziale intelligente che mira a rendere il corpo umano fluido come l’acqua. L’obiettivo del Jeet Kune Do è intercettare l’avversario e l’idea stessa di colpire l’attacco in arrivo, in modo da formulare, a mente serena e lucida, contrattacchi corrispondenti tanto efficaci quanto neutralizzanti. In I 3 dell’Operazione Drago, specie nel prologo in cui Lee si misura con il suo maestro e un allievo, emergono massime come: «Un buon artista marziale non diventa teso, ma pronto, non pensa, eppure sogna. È pronto per qualunque cosa possa accadere. Quando l’avversario si espande, io mi contraggo, e quando lui si contrae, io mi allargo». Oltre a questo però, una lavorazione al limite dell’inverosimile.
Le centinaia di comparse necessarie per interpretare le persone del luogo erano persone comuni di Hong Kong, ma anche reali prostitute. Una comparsa sfidò Bruce Lee alla maniera del tarantinano Cliff Booth in C’era una volta…a Hollywood per vedere se era davvero così forte come dicevano… lo era! A un certo punto la situazione prese talmente una piega assurda che Lee promise che avrebbe offerto cento dollari a chiunque riuscisse a prendergli la mano prima che li colpisse: non tirò un centesimo di tasca propria. I veri problemi I 3 dell’Operazione Drago li ebbe, in realtà, in pre-produzione, con Bruce Lee che temeva che l’Occidente non sarebbe stato pronto ad accettare un eroe cinese come protagonista. Non a caso, quando John Saxon si presentò sul set, si comportò convinto di essere la stella del film e non un co-protagonista.
In origine il ruolo di Roper sarebbe dovuto essere di Rod Taylor con cui Clouse, peraltro, aveva lavorato in Grande caldo per il racket della droga del 1970. Secondo Lee però Taylor era troppo alto per il ruolo. Al suo posto proprio quel Saxon cintura nera di Judo e Shotokan Karate (studiò nientemeno che con il gran maestro Hidetaka Nishiyama) che per salire a bordo de I 3 dell’Operazione Drago pretese alcuni cambiamenti di trama e rifiutò, sciaguratamente, una percentuale sugli incassi in favore di un alto salario forfettario da 150.000 dollari. Non ultimo il personaggio di Williams per cui la produzione aveva ingaggiato Rockne Tarkington per poi, causa conflitto di lavorazione con America violenta, costringere l’executive Fred Weintraub a ripiegare sul campione di karate Jim Kelly che vide la sua carriera cambiare drasticamente.
Il successo de I 3 dell’Operazione Drago spinse la Warner Bros a ingaggiarlo per altri tre film, tutti a tema blaxploitation e arti marziali: Dinamite agguato pistola, I sette aghi d’oro, ma soprattutto Johnny lo svelto, una delle vette del cinema da combattimento dell’epoca. Ma soprattutto influì su una sterminata serie di elementi di più generi diversi, dalle saghe videoludiche di Double Dragon, Street Fighter, e Tekken e Mortal Kombat in particolare nel concept che prevede alcuni combattenti invitati a partecipare a un torneo di combattimento di rilevanza mondiale, alla codifica delle MMA – Mixed Martial Arts/Arti Marziali Miste. Nelle sequenza d’apertura, in cui vediamo Bruce Lee combattere contro un avversario (un giovanissimo Sammo Hung), oltre a indossare dei capi divenuti poi tipici delle MMA, Lee sottomette il rivale con un armbar, una delle mosse chiave della disciplina.
Un importante crocevia di destini e talenti I 3 dell’Operazione Drago di cui Lee, pur resosi conto già in piena lavorazione della sua valenza, poté saggiarne appena briciole. Quel triste 20 luglio decise diversamente. In quel giorno, tra l’altro, Lee si sarebbe dovuto incontrare con il produttore e amico Raymond Chow e George Lazenby per discutere de L’ultimo combattimento di Chen, un film che aveva tutte le carte in regola per essere l’opera della definitiva maturazione. La prematura scomparsa di Lee lo rese un film postumo, si, ma apocrifo, infelice, privato della sua essenza filosofica per essere ridotto a una prosecuzione di sequenze di combattimento senza filo conduttore. Ci mise poco però per entrare nella storia: Kareem-Abdul Jabbar e la mitica tuta gialla a strisce nere divenuta oggetto di culto e a volte basta questo per l’immortalità artistica.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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