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Hud Il Selvaggio | Paul Newman, Martin Ritt e la modernità di un film senza tempo

Patricia Neal, Melvyn Douglas, quel libro e i tre Oscar vinti. Ma come riscoprirlo in streaming?

Hud il selvaggio
Paul Newman nel ruolo di Hud Bannon. Era il 1963.

ROMA – «Una sessualità fredda che è unica nel cinema americano: una qualità particolare di divertimento, sesso e pericolo rara sul grande schermo». Con queste parole Martin Ritt descrisse la magnetica aura artistica di Paul Newman con cui – tra il 1958 de La lunga estate calda e il 1967 di Hombre – compose un sodalizio straordinario caratterizzato da cult senza tempo come Paris Blues, Le avventure di un giovane e L’oltraggio che nella metà degli anni Sessanta segnarono un’epoca. Nel mezzo? C’è Hud il selvaggio – datato 1963 – forse il più importante di tutti, perché piena espressione di quel cinema a cui basta la campagna americana, un cappello con visiera e una mandria per raccontare degli uomini, dei loro (dis)equilibri e di un intero mondo. Non un western però, sia chiaro, o forse non solo un western.

Hud il selvaggio fu presentato ad Hollywood, California, il 24 maggio 1963
Hud il selvaggio fu presentato ad Hollywood il 24 maggio 1963.

Perché l’inerzia narrativa di Hud il selvaggio – lo trovate in streaming su Paramount+ – verte su più fronti: western urbano, neo-western precursore di ciò che sarà poi il western revisionista, o forse più semplicemente dramma familiare a cornice western. La storia è delle più semplici: un’epidemia di afta epizootica causa l’abbattimento dell’intera mandria del glorioso ranch Bannon e – di riflesso – il disfacimento di un nucleo familiare dai già fragili equilibri. Straordinaria occasione narrativa che permette a Ritt di riflettere lutti inelaborabili, violenza e dolore rancoroso legandoli a doppio filo alla ribellione giovanile e all’incapacità di lasciare andare i valori del vecchio West in favore della modernità capitalistica. Un’opera senza tempo e fuori dal tempo perché riflesso di intere generazioni di uomini unite tra passato e presente, tutte racchiuse nel conflitto tra figlio e padre: Hud, il selvaggio (Paul Newman) e Homer, il nostalgico (Melvyn Douglas).

Melvyn Douglas e quel Brandon De Wilde che ritroviamo dieci anni dopo Il cavaliere della valle solitaria
Melvyn Douglas e Brandon De Wilde che ritroviamo dieci anni dopo Il cavaliere della valle solitaria

Nel mezzo c’è Alma (Patricia Neal) il collante del nucleo familiare e il giovane Lonnie (Brandon De Wilde) – che di Hud è nipote e dicotomico caratteriale esattamente come può essercene tra molestia e desiderio – disgregati dalla furia egoistica e selvaggia di un Hud caotico, violento e burrascoso che Newman portò in scena come un villain e che invece, all’indomani di quel 21 maggio 1963 che vide Hud il selvaggio in sala – per poi essere presentato in concorso a Venezia – ebbe tanti giovani al seguito che lo elessero ad eroe personale. Un’anomalia percettiva che ritroviamo anche nelle cieche recensioni dell’epoca dove la dimensione caratteriale del capitalismo moderno di cui è portatore Hud lo fece passare così: «Simpatico, intelligente e con il potenziale per essere all’altezza del suo duro padre. Un mostro affascinante e sgarbato».

Patricia Neal vinse l'Oscar alla Miglior attrice protagonista 1964 per la sua performance ne Hud il selvaggio
Patricia Neal vinse l’Oscar come miglior attrice per la sua performance.

Il motivo? Semplice. Perché Hud il selvaggio è la piena espressione di quel cinema moderno americano sul punto di abbracciare i venti di cambiamento new-hollywoodiani, custode della rabbia ribelle delle giovani e nuove generazioni. Non a caso fu un successo clamoroso: a fronte di un budget di 2 milioni e mezzo di dollari, ne incasserà oltre 15 solo in America. Un risultato straordinario, specie considerando che – all’indomani di un test-screening del cut definitivo – gli executive Paramount avevano un pessimo presentimento sul film. Credevano che Hud il selvaggio fosse troppo cupo, troppo buio (in termini fotografici), che l’Hud di Newman non evolvesse e che il finale non funzionasse. Per farla breve: era poco commerciale. Si sbagliarono, specie sul finale asciutto ed essenziale come la regia, che abbandona del tutto Hud a una vita selvaggia e solitaria. Non solo: il film venne candidato a sette Oscar (non Newman, incredibile) e vinse tre statuette: Patricia Neal come attrice, Melvyn Douglas come non protagonista e la fotografia.

Lonnie e Hud, nipote e zio agli antipodi

Tra l’altro la scelta di fotografare Hud il selvaggio in un austero bianco e nero in modo da evidenziare il terreno bianco e il cielo limpido e – di riflesso – rendere le ombre nere come la pece, fu del direttore della fotografia, John Wong Howe, che scelse questo registro sbilanciato in Panavision per «Elevare le propensioni drammatiche del racconto in modo da creare un senso di spazio infinito nei chiaroscuri». Facciamo un passo indietro. Esattamente a quando la Salem Productions fu fondata all’inizio degli anni Sessanta da Ritt e Newman e strinse un accordo con la Paramount per tre pellicole. Assunti gli sceneggiatori marito e moglie Irving Ravetch e Harriett Frank Jr. (già autori de La lunga estate calda) che trovarono in Horseman, Pass By di Larry McMurtry del 1961 un soggetto interessante per uno script, lo proposero a Ritt e Newman descrivendo loro il personaggio di Hud Bannon.

«Il Western, anzi, tutto il cinema e la società americana, nessuno di loro era pronto per ciò che Hud il selvaggio avrebbe significato all'epoca»
«Nessuno di loro era pronto per ciò che Hud il selvaggio avrebbe significato all’epoca…»

Lo resero il protagonista sebbene il romanzo si concentrasse maggiormente su Lonnie. Dalla sua però Ritt voleva che Hud fosse un antieroe che non si pentisse mai delle sue azioni e questo nonostante il confronto con Lonnie rimpolpato dalla coppia di sceneggiatori in modo da mantenerlo umano: «Umano, sì, o comunque, non totalmente e semplicisticamente malvagio». L’idea era dargli colore caratteriale insomma. Avviata la lavorazione con il titolo provvisorio di Wild Desire seguito da The Winners, Hud Bannon Against the World e infine Hud Bannon, Ravetch e Frank accompagnarono Ritt e Newman in tutte le fasi della pre-produzione. Il motivo? Credevano particolarmente nel progetto tanto da arrivare a spendere parole importanti: «Il western, anzi, tutto il cinema e la società americana, nessuno di loro era pronto per ciò che Hud il selvaggio avrebbe significato all’epoca». E, paradossalmente, forse nemmeno noi lo siamo ancora del tutto sessant’anni dopo…

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

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