ROMA – «Un eroe singolare». Recita così il sottotitolo di Petit Paysan – lo trovate su CHILI -, film rivelazione della scorsa stagione francese. Vincitore di tre César – tra cui miglior opera prima – il film racconta i tentativi messi in atto da un giovane allevatore, Pierre (Swann Arlaud), per salvare l’amata mandria di mucche da un’epidemia diffusa in tutta la Francia. Innamorato (e ossessionato) da quegli animali che costituiscono tutto il suo mondo, il comportamento del protagonista assume i contorni di una resistenza umana e disperata. Presentato a Cannes, Petit Paysan è un ibrido che si muove tra le sfumature del thriller e del dramma, dove non mancano sequenze oniriche e momenti ironici. Un brillante debutto al lungometraggio ispirato da elementi autobiografici come ha raccontato il regista francese Hubert Charuel a Hot Corn.

L’ISPIRAZIONE «Il punto di partenza del film? È doppio. Da un lato volevo raccontare la crisi degli anni ’90 della mucca pazza. All’epoca si applicava il principio di precauzione e si tendeva a uccidere tutte le mandrie per evitare la diffusione della malattia. Dall’altro, essendo figlio di contadini, credo di aver fatto questo film per liberarmi dal senso di colpa di non aver seguito le orme dei miei genitori. In questo senso Petit Paysan è anche un film sulla famiglia…».

IL PROTAGONISTA «Swann Arlaud non aveva mai avuto nessuna esperienza con fattorie e allevamenti prima di lavorare al film. Ero consapevole però che la sua recitazione dovesse passare anche attraverso i movimenti del corpo e delle mani. Così l’ho mandato per tre settimane da dei miei parenti agricoltori per imparare la gestualità necessaria per interpretare Pierre».

GLI ANIMALI «Abbiamo scoperto di essere stati selezionati per Cannes solo tre settimane prima dell’inizio del festival. Il montaggio non era ultimato e, per la fretta, abbiamo dimenticato di inserire la frase «Nessun animale è stato maltrattato durante la produzione». Ma è stato davvero così. Sul set c’erano sempre gli ispettori veterinari e i responsabili del dressage. Durante la lavorazione è stato un grosso beneficio per me conoscere la loro psicologia. Se non avessi avuto questo vantaggio sarebbe stato un inferno…».

IL GENERE «Quello che mi interessava era mischiare i generi ambientando il film nel mondo dell’agricoltura. Abbiamo inserito anche un pizzico di humor nero. Diversi produttori incontrati erano favorevoli all’ambientazione agricola ma non volevano le mucche perché, secondo loro, “non sono sexy”. I nostri produttori, invece, ci hanno detto che se il film era scritto bene non avremmo avuto problemi di finanziamento. Così abbiamo impiegato tre anni per ultimare la sceneggiatura e otto mesi per trovare i soldi».

IL SENTIMENTO «La lealtà costituisce una parte importante del film. Anche l’amore è basato sulla lealtà. In Petit Paysan, amore per la famiglia e per gli animali sono strettamente legati. Recentemente ho fatto un’intervista con dei giovani allevatori nella quale si parlava dei punti positivi e negativi dell’agricoltura. Il primo aspetto negativo evidenziato è stato la paura di disilludere la propria famiglia, di non riuscire a mandare avanti l’azienda. Un dato molto significativo per me».

LE REAZIONI «In Francia non ci sono state particolari reazioni da parte di vegani e vegetariani. C’è però un’associazione che lotta a difesa degli animali che è intervenuta durante l’uscita del film. Anche loro sono consapevoli che non si può bloccare del tutto l’industria della produzione di carne sebbene sia sempre maggiore la presa di coscienza del legame sociale tra uomo e animale».
Volete (ri)vedere Petit Paysan? Lo trovate su CHILI
- Qui potete vedere il trailer di Petit Paysan:
[inserisci trailer=’petit-paysan-trailer-ufficiale’ display=’title’]
Lascia un Commento