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Hammamet | Pierfrancesco Favino, Craxi e la ricerca delle emozioni di Gianni Amelio

Non una cronaca fedele né un pamphlet militante. Quanto c’è di vero nel film su Craxi diretto da Amelio

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Un'immagine di Hammamet

FIRENZE – Hammamet riflette su uno spaccato scottante della nostra Storia recente. Sono passati vent’anni dalla morte di uno dei leader più discussi del Novecento italiano, e il suo nome, che una volta riempiva le cronache, è chiuso oggi in un silenzio assordante. Fa paura, scava dentro memorie oscure, viene rimosso senza appello. Basato su testimonianze reali – «Per quanto riguarda Craxi, io e lo sceneggiatore Alberto Taraglio abbiamo letto libri, giornali, approfondito polemiche, guardato spezzoni televisivi, da non saperne più dare conto. Mi sono immerso in una enorme quantità di materiale, e poi ne sono uscito» ha raccontato Gianni Amelio -, il film non vuole essere una cronaca fedele né un pamphlet militante. L’immaginazione può tradire i fatti “realmente accaduti” ma non la verità. La narrazione ha l’andamento di un thriller, si sviluppa su tre caratteri principali: il re caduto, la figlia che lotta per lui, e un terzo personaggio, un ragazzo misterioso, che si introduce nel loro mondo e cerca di scardinarlo dall’interno.

Hammamet
Gianni Amelio e Pierfrancesco Favino sul set di Hammamet

Il film di Gianni Amelio sull’esilio di Bettino Craxi a Hammamet è tutto nell’interpretazione di Pierfrancesco Favino, il regista lo sa e la esalta. Sembra che il politico riviva davanti a noi, insieme alla tragedia dell’uomo. Ma cosa c’è di vero nel racconto dell’agonia di questo gigante della politica italiana divenuto nano nell’ostinazione di ritenersi ingiustamente perseguito dai magistrati e non dal Parlamento? Non è importante, a Gianni Amelio non interessa la cronaca, ma le emozioni di un uomo di potere costretto all’impotenza fisica, morale e d’azione. Craxi non è un personaggio storico, si eleva a metafora dell’ascesa e della caduta di tutti i capi politici, forti del loro carisma e della loro autorevolezza o, meglio, della loro autorità, caduti poi in disgrazia e combattuti tra rabbia repressa, ironia, malinconia e lampi di orgoglio e scatti d’ira.

Una scena del film

«Hammamet non è un film “su Craxi”, anche se è lui il protagonista e il motore del racconto, che comunque si concentra più sull’uomo che sul politico», ha sottolineato Amelio, «Sono partito da una proposta del produttore, che voleva un film su Cavour e sul suo legame con la figlia. Allora mi si è accesa la lampadina: perché non parlare di qualcosa più vicina ai giorni nostri, una vicenda ancora calda, non “sanata”? Così mi è venuto in mente Craxi. Da quello che sapevo, sua figlia gli è stata accanto nella buona e nella cattiva sorte. Non volevo fare una biografia, né il resoconto esaltante o travagliato di un partito. Meno che mai un film che desse ragione o torto a qualcuno. Volevo, come penso sia compito del cinema, rappresentare comportamenti, stati d’animo, impulsi, giusti o sbagliati che fossero. Cercando l’evidenza e l’emozione».

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Un momento sul set di Hammamet

L’interpretazione di Favino è strepitosa, osserviamo Craxi e con lui la decadenza degli uomini di potere, la loro tragicità, che non consiste nella loro fine ingloriosa ma nell’essersi sentiti prima troppo grandi. I politici sono ridicoli nell’esercizio del loro potere, non nella perdita del potere. Ed è proprio per questo che il Craxi di Favino ci commuove, perché rende benissimo questo paradosso del potere: prima si prende troppo sul serio, poi, decaduto, rilegge con autoironia e il giusto distacco la propria storia, umana. Amelio accenna al passato di Craxi con dialoghi di battute e di aforismi che rimandano al potere di una volta e al coinvolgimento di tutti nelle malefatte che gli hanno imputato. Non è un leone in gabbia, o un animale ferito, Craxi è un uomo che sa di essere alla fine, politicamente e umanamente.

Pierfrancesco Favino è Craxi

«Favino è stato eroico. Ogni mattina sopportava cinque ore di trucco, e ne servivano altre due per ridargli la sua faccia», ha raccontato il regista, «Ma lui è andato oltre, da quell’immenso attore che è. Ha fatto un lavoro mimetico sui gesti, sulla voce, sullo sguardo. Mi piace ripetere che il suo talento è una sorta di malattia, da cui spero non guarisca mai. Abbiamo utilizzato una tecnica di trucco all’avanguardia, già sperimentata in Inghilterra. Penso che sia la prima volta che la usiamo in Italia. Serviva una personificazione totale, e dovevamo scacciare lo spettro della “somiglianza” e basta. Per questo film io volevo Favino, nessun altro. E l’ho aspettato sei mesi».

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Una scena di Hammamet

Il suo Craxi vorrebbe far capire l’ingiustizia di essere perseguito a livello giudiziario e non di essere giudicato dal parlamento, ma forse non ci crede nemmeno lui fino in fondo. Vorrebbe essere riabilitato come uomo e come padre, questo sì. Quando la regia è su Craxi, sul suo corpo, sul suo viso, sulla sua voce e sui suoi gesti, il film è ipnotico, bellissimo; Amelio ha saputo esaltare Favino e insieme hanno trovato il giusto equilibrio per rendere il personaggio credibilissimo e affascinante, tormentato e autoironico, vero. Chi va al cinema deve sospendere l’incredulità, deve cioè affidarsi al regista e credere al suo viaggio; vale anche per Hammamet: fatevi accompagnare dalla maestria di Amelio e dalla bravura di Favino, e il viaggio sarà avvincente.

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L’intervista a Pierfrancesco Favino per Hammamet a cura di Damiano Panattoni:

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