Guillaume Canet è appena sbarcato al Lido, arrivando in Concorso a #Venezia75 con Non Fiction (Doubles vies) di Olivier Assayas (nelle sale da gennaio 2019). Questa volta mette in crisi il mondo digitale raccontando un editore, Alain, alle prese con un’autentica rivoluzione del settore, ma anche con le sfide quotidiane del matrimonio con Selena, un’attrice disillusa (Juliette Binoche). Come spesso accade, infatti, la lungimiranza professionale si sposa con la miopia relazionale e quindi i contrasti del suo personaggio non sono solo legati al rigetto della tecnologia, ma anche all’incapacità di dialogo con una consorte insoddisfatta. Canet, marito di Marion Cotillard, quindi, continua a stupire, con garbo e acume, sullo schermo ma anche vis-à-vis, quando incontra la stampa internazionale. Le prossime sfide? Il thriller Mio Figlio, al cinema dal 27 settembre, e la commedia 7 Uomini a Mollo, presentata al Festival di Cannes e in arrivo in Italia il 20 dicembre. Mille volti diversi, insomma, per un interprete sempre più eclettico.

LA SFIDA «Davanti ad un film come questo la difficoltà maggiore consiste nei dialoghi fitti. Non mi capitava di recitare un copione del genere dai tempi in cui facevo teatro. Imparare a memoria tanto testo e soprattutto interiorizzarlo, non è semplice, per fortuna è scritto bene, cosiì il desiderio di rispettarlo superava ogni ostacolo. Ha una profondità tale da non lasciare spazio all’improvvisazione. Mi ha sottoposto ad una disciplina che non mi appartiene perché di solito imparo le battute all’ultimo momento, ma stavolta non era possibile».

ASSAYAS DOCET «Olivier Assayas? Quello che mi ha sorpreso lavorando con lui non è il talento, del tutto noto ormai, ma la capacità di trovare un ritmo impeccabile anche nel più complesso dei testi. Mi ha spinto a continuare a ricercare sfide nuove, percorsi sempre diversi come ho voluto fare finora, lasciandomi guidare da registi con universi molto differenti l’uno dall’altro».

LA TECNOLOGIA «Il mio rapporto con il digitale è particolare, per così dire. Mi rendo conto della rivoluzione fantastica che è in corso e la studio con curiosità, ma poi capisco che sono un po’ vecchiotto, diciamo, per farla mia fino in fondo. Questa rapida evoluzione mi crea un po’ di panico e non amo neppure il termine “consumare”, che usiamo spesso soprattutto online».

FAST FOOD «I social spesso ci isolano. In Non Fiction si vede il mio personaggio e quello di Juliette Binoche come una coppia ormai incapace di parlare: entrambi vivono le situazioni immediatamente e non hanno il tempo di processarle… che peccato. Come i nuovi modi di fruire un film: quando ne guardi uno sul cellulare con un suono orribile vanifichi mesi di sforzi di professionisti che hanno invece cercato di dare melodia e armonia. Vale lo stesso quando sei in aereo e guardi una pellicola su uno schermo minuscolo e a volte coperto per metà: in quel momento penso al direttore della fotografia e mi rammarico di questa fruizione fast food, che mi fa paura».

L’EDITORIA «Nel film mettiamo in scena la rivoluzione editoriale, ma penso che il discorso valga per tutti i media. Nel caso della letteratura, il Kindle, ha creato un nuovo approccio al testo. Prima no, quando andavi in vacanza sceglievi con cura il volume da portarti dietro, e persino quando non ti convinceva gli davi una chance e lo finivi per capire dove sarebbe andato a parare. Ecco, mi preoccupa lo stato dell’arte che viene quasi stritolata nel processo».
Qui, il nostro speciale sulla Mostra: Venezia 75
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