MILANO – Gli ultimi fuorilegge (da non confondere con l’omonimo film del 2001 con Colin Farrell…) è un western europeo con una prospettiva di senso ben precisa e uno svolgimento lineare. Se questo, in qualche passaggio, lo fa sembrare un po’ prevedibile dal punto di vista narrativo, non si possono non apprezzarne le scelte stilistiche, come i netti contrasti della fotografia di alcune sequenze, la preponderanza della notte sul giorno e la scenografia (scarna ma incisiva): ingredienti che attraverso la costruzione di un ambiente da mid-western anomalo, riescono a coniugare elementi classici di genere con uno sguardo critico e demitizzante sullo stesso. Emile Hirsch è un irlandese emigrato con la famiglia dall’Est verso l’Ovest degli Stati Uniti; anche sua moglie (Déborah François) è europea, ma di origini francesi.
I due si stanno lentamente avvicinando al Pacifico alla ricerca dei tramonti e dell’oro della California, di una vita tranquilla da regalare ai loro due figli. Insomma, del sogno americano. Ma tra il sogno e la sua realizzazione c’è di mezzo la vita vera, la fatica del lavorare per mantenersi e pagarsi il viaggio, la durezza di un west che non è mai quello che ci si aspettava. Così, sulla via verso la California, la famiglia si è fermata a Garlow, fangoso paese puritano di baracche di legno, una di quelle microcomunità pseudocalviniste in cui il pastore gode di maggior credito del sindaco (di cui fa le veci) e dello sceriffo (che ne esegue le indicazioni): una vera e propria teocrazia che persegue la suggestione luterana per cui se fossimo tutti cristiani, non ci sarebbe neanche bisogno della legge per vivere in pace e sicurezza.
E allora, per garantire l’ordine, a Garlow si è pensato di obbligare tutti alle rinunce puritane: si è chiuso il saloon in modo che nessuno possa intrattenersi con le prostitute locali, è vietata la vendita di alcol e si predica un’austerità diffusa, per lo meno nei costumi esteriori. L’irlandese immigrato, cattolico per antonomasia, accetta per quieto vivere (e per necessità economica) le imposizioni dei riformati e si dà alla libera attività di becchino, molto remunerativa, per ovvie ragioni, nel west. Ma la morale non basta a guidare una comunità, sembra dirci il film. Serve (anche?) uno Stato vero, perché quando arrivano i cattivi – e il Dutch Albert incarnato da un difficilmente riconoscibile John Cusack è cattivissimo – è di nuovo chi è più forte ed ha meno scrupoli a comandare, facendosi beffa delle regole che porgendo l’altra guancia non si ha la forza di difendere.
Senza uno Stato solido, il malvagio è in grado di prendere facilmente in mano una città indifesa: regala al popolo ciò che vuole per annebbiarne mefistofelicamente la capacità di giudizio, e dove non riesce con la persuasione, usa la minaccia, la violenza, le esecuzioni di piazza, la sopraffazione. In buona sostanza, la tesi chiave è che una società democratica, per non ricadere nella dittatura del più forte, deve sapersi organizzare, abbandonare i modelli utopici e calarsi nella realtà concreta, non limitandosi a sopprimere gli istinti dei suoi abitanti dicendo loro come dover essere, ma anche imparando a difenderli, per lo meno dalle aggressioni esterne, giustificando la sua esistenza e facendosi comunità.
In alcuni momenti sembra che Gli Ultimi Fuorilegge voglia porre il modello europeo in contrasto con quello americano (e la prima inquadratura con la bandiera a stelle e strisce a brandelli potrebbe esserne un indizio), in altri momenti, sembra che si tratti invece di campanilismi tra mondo cattolico e mondo protestante. Quello che è certo è che l’oggetto del contendere – di derivazione americana o protestante che sia – indicato come il responsabile di un mondo west immaturo da un punto di vista sociale e medievale nel modi e negli stili di vita arretrati, è l’individualismo, inteso come incapacità morale di porre il bene della comunità al di sopra degli interessi particolari. Una malattia da estirpare per un western che, per questo, potremmo definire etico e anti-epico, in quanto prova a individuare la natura del peccato originale di un passato per nulla idilliaco, e forse ancora presente dentro di noi.
Interessantissimo, come si diceva all’inizio, il clima che il regista riesce a creare in Gli Ultimi Fuorilegge (su Prime Video e AppleTV+), che da solo tiene teso il filo della tensione di un film senza colpi di scena e di cui si può intuire l’esito sin dall’inizio. Il fango, la fisicità delle prostitute, la lucida follia del pastore e il buio, non servono tanto a ricreare un ambiente realistico, quanto per decostruire il sogno del west e i miti del viaggio e dell’oro, trasformandoli in un luoghi cupi e inospitali, in cui l’eroe tragico è immerso in un quadro che evoca con più facilità la Sassonia di Federico il Savio o le trascrizioni fiabesche dei fratelli Grimm, piuttosto che le praterie di John Ford. Del resto, non siamo più di fronte all’uomo che combatte con la natura selvaggia e le impone il suo ordine razionale, ma con l’uomo di fronte a se stesso, costretto a combattere la sua natura più profonda.
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