VENEZIA – Lo abbiamo aspettato a lungo. Nessuna notizia, nessun teaser, nessuna anteprima. C’era la massima riservatezza attorno ad America Latina, il terzo lungometraggio dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo presentato in Concorso a Venezia 78. Dopo le esperienze berlinesi, con il debutto nel 2018 con la terra dell’abbastanza e L’Orso d’argento nel 2020 per Favolacce, i due registi romani tornano con la storia di un uomo, Massimo Sisti (Elio Germano), dalla vita apparentemente perfetta fatta di moglie, figlie, villetta e un lavoro sicuro. Ma dietro quella perfezione si nasconde qualcosa di oscuro…
LE CONTRADDIZIONI – «Ogni volta che ci approcciamo all’amore parliamo di sentimenti quali il nostro ricongiungerci con dei fantasmi, con delle ossessioni, con della grandissima suspence, con l’incertezza dell’avvenire, con la dolcezza, le ossessioni. E quindi con il thriller. Il film è tenero e ogni sentimento per decollare ha bisogno del suo contrario perché la vita è fatta di contraddizioni». Fabio D’Innocenzo
L’AMORE – «Il femminile ci salva. Il tema principale che volevamo esplorare è quanto e come l’amore riesce a rimettere i vetri rotti al proprio posto. Ogni forma di amore riesce a far decollare la vita». Fabio D’Innocenzo
I GENERI – «Non è propriamente un thriller, ne ha degli aspetti. È misterioso, volutamente ambiguo. Se vogliamo chiamarlo thriller andrebbe aggiunta accanto “psicologico”. Amiamo i generi perché hanno delle regole precise. È bello conoscerle tutte e aggirarne tante altre. America Latina contiene molti generi, avevamo voglia di non ripetere qualcosa che avessimo già fatto. Vogliamo rimanere scomodi soprattutto a noi stessi». Damiano D’Innocenzo
LA PRESSIONE – «Lo abbiamo scritto a Berlino. Eravamo nel limbo di Favolacce per scoprire se avessimo vinto o meno. Così per scordarci la pressione abbiamo iniziato a pensarne un altro. Un film che fosse meno episodico e frammentario. Volevamo farne uno dritto che vive la storia e ce la fa vivere in prima persona insieme ai personaggi. È un viaggio al termine di un uomo. Volevamo fare un nuovo esordio». Fabio D’Innocenzo
LA CASA – «La casa era un punto necessario per delineare l’aspetto visivo fondante del film. In America Latina il rischio di superare il confine tra simbolico e retorico era molto alto. Siamo stati attenti. È un film che si basa sulla doppiezza e fatto da due gemelli, dove c’è un sopra e un sotto che quella casa ci ha permesso di esplorare. Eravamo affascinati da quello sbaglio, era davvero impresentabile e rispecchiava l’emotività e l’ambiguità del personaggio. Cinematograficamente era irresistibile. Inoltre la scelta della casa ci permetteva di essere a contatto con l’esterno grazie alle sue grandi vetrate. Il personaggio di Elio è come una mosca dentro un bicchiere. Potevamo osservarlo. Era qualcosa già voluto in scrittura e concretizzato girando. Abbiamo poi ridimensionato questo aspetto in montaggio tagliando molto. Ci interessa la sintesi nei film».
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