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Felicità | Micaela Ramazzotti, quegli orrori di famiglia e un grande film sull’Italia

Il cast, i personaggi, la malattia e quel Paese allo sbando. Ecco perché non dovreste perderlo

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Matteo Olivetti e Micaela Ramazzotti in una scena di Felicità.

MILANO – Esordio davvero sorprendente per Micaela Ramazzotti che – dopo aver vinto il premio degli spettatori a Orizzonti a Venezia – arriva ora al cinema con Felicità, una storia tutta italiana, raccontata con affetto ed una tale vicinanza ai due protagonisti che, più che ad un esperimento o a un debutto, fanno pensare al primo film di una lunga e nuova carriera. La neo regista dirige infatti il cast in maniera davvero perfetta, da Max Tortora a Sergio Rubini, passando per Anna Galiena e Matteo Olivetti, e fate attenzione alle apparizioni di Giovanni Veronesi, Beatrice Vendramin e di un’impronosticàbile Florence Guerin. Ma andiamo con ordine: chi è Desirè Mazzoni (interpretata dalla stessa Ramazzotti)? Una donna molto semplice, ingenua, che insieme al fratello Claudio (Matteo Olivetti, e che sorpresa) condivide la disgrazia di essere stata cresciuta da due genitori disfunzionali.

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I genitori e il figlio: Matteo Olivetti con Anna Galiena e Max Tortora. Foto di Lucia Iuorio

Da una parte, il padre Max (Tortora), ex dipendente statale e baby pensionato che si crede un artista e si esibisce (forse pensando di vivere negli Anni Ottanta) nelle più basse espressioni dei palinsesti delle tv regionali, aspettando un improbabile (molto improbabile) successo. La madre Floriana (Anna Galiena) è invece una nullità egoriferita che sfoga la sua totale frustrazione imponendo – tra un brandy e un paio di goccine – un controllo ossessivo sui figli e fa squadra con il marito nello sminuire Claudio e Desirè per la mediocrità del loro nucleo famigliare. Qualche aggettivo per definire la famiglia Mazzoni? Ignorante, insoddisfatta, intollerante, soffocante, piena di sé, disonesta, perbenista, patetica e volgare. Praticamente il ritratto perfetto della decadenza culturale e umana italiana.

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Micaela Ramazzotti sul set prima di una scena. Foto di Lucia Iuorio.

I due ragazzi però sono ormai adulti e il film prova a raccontare il loro percorso di liberazione da una famiglia i cui danni sono enormi e (talvolta) irreversibili, nel tentativo di ritagliarsi uno spazio di felicità (da cui il titolo). Ed è proprio Desirè la più caparbia in questa lotta, forse perché è la maggiore ed è uscita di casa prima, forse perché è una donna, o forse solo perché ciascuno reagisce a suo modo e il povero Claudio sta sprofondando in una crisi depressiva che il resto della famiglia non comprende, non accetta e si rifiuta di curare. Perché? Perché sanno loro come si fa, si lascino perdere questi medici che vogliono dirci come comportarci con i nostri figli, una volta per tutte. Così facendo – ovviamente – contribuiscono a spingere sempre più il ragazzo verso l’abisso.

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Micaela Ramazzotti guarda un giornaliero sul set di Felicità.

La malattia mentale a questo punto diventa un altro tema portante del film, ma non siamo negli Anni Settanta di Qualcuno volò sul nido del cuculo – film citato – perché questa volta il sistema sanitario, la psichiatria e i modelli di cura non sono in discussione (anzi, si sottolineano le conquiste), è invece il modo in cui ancora una parte di noi si approccia alla malattia mentale che viene smascherato, ridicolizzato e denunciato. Desirè si farà carico di tutto (dagli aspetti economici a quelli emotivi) ma avrebbe una vita da portare avanti che – inevitabilmente – sarà compromessa, anche perché là fuori, dove cerca la felicità, il mondo è altrettanto difficile. Nel rapporto con Bruno (Sergio Rubini) e in quello con i colleghi emerge quanto non sia mai considerata all’altezza per niente e di niente. Ancora una volta grazie a mamma e papà. Desirè viene usata da molti per la predisposizione a usare il sesso come strumento di comunicazione e relazione, è schernita e sfruttata per la sua semplicità e il buon cuore, viene rimbrottata per le piccole inadeguatezze. Una donna che dà molto, forse troppo, e che in cambio non riceve nulla salvo sopraffazioni, abusi e raggiri.

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Sergio Rubini nel ruolo di Bruno, un (inutile) intellettuale.

Un film importante? Sì, perché dietro la famiglia Mazzoni, Felicità racconta un’Italia in cui le conseguenze della noncuranza, del calcio alla lattina, dell’ignoranza innalzata a baluardo di libertà iniziano a farsi sentire e hanno effetti disastrosi sulle nuove generazioni, soprattutto sulla percezione del sé e del proprio ruolo sociale. La Ramazzotti è perfettamente nel ruolo e la regia è delicata e al servizio dei personaggi con una scrittura capace di scuotere gli animi senza forzature. Qualche volta sceglie la strada della stilizzazione dei personaggi, scelta consapevole dettata dal fatto che nessuno di loro sarebbe in grado di reggere una reale profondità, perché è proprio la piattezza la cifra del contesto etico in cui è ambientata la vicenda. Siamo un Paese di macchiette incapaci di costruirsi un pensiero consapevole e strutturato, non riusciamo a direzionare le nostre vite perché viviamo di apparenza, di sentito dire e di emulazione. Siamo strutturalmente pigri e superficiali: chi per mancanza di cultura, come la famiglia di Desirè, chi per snobismo, come Bruno e la borghesia intellettuale e classista a cui si accompagna. Un film da non perdere.

  • INTERVISTA | Micaela Ramazzotti racconta Felicità
  • VIDEO | Qui una clip del film:

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