ROMA – Raccontare la fortuna di avere un padre come Ettore Scola. Ma come? Cercando di non farsi querelare. Perché se c’era una cosa che Scola detestava erano i salamelecchi, gli elogi vuoti. Tutta la sua vita è stata permeata da un forte senso dell’ironia e del paradosso. Sentimento che – per via genetica e per naturale frequentazione quotidiana – si è trasmesso anche alle figlie Paola e Silvia, autrici di Chiamiamo il babbo, volume uscito per Rizzoli qualche tempo fa, ma sempre attuale e per questo ve lo raccontiamo. Una semplice biografia? Etichetta limitata perché gli eventi e la miriade di aneddoti raccontati nel volume non sono solo preziosi schizzi della vita di uno dei maestri del nostro cinema, ma sono un distillato del suo umorismo.
Ma chi era Ettore Scola per le due autrici? Un uomo profondamente legato alle sue radici campane, molto severo con sé stesso e quindi con i collaboratori. «Ma anche il padre che ogni bambina, e poi ogni donna e ogni persona sogna di avere; uno su cui puoi contare sempre quando ne hai bisogno e che si tira da parte quando non lo vuoi fra i piedi. Ma non solo: che fa il tifo per te, che ti sprona, ti incoraggia e ti stoppa quando è il momento di mettere dei limiti. E che ti ama incondizionatamente» scrive Paola Scola in un passaggio del volume.
Cultore delle uova e delle sigarette, forte coi forti e debole con i deboli, ma con la schiena sempre dritta, così coraggioso da guardare in faccia i suoi (pochi) nemici per combatterli a viso aperto. Un artista completo, insomma, che disprezzava lo splendido isolamento degli scrittori tormentati e cercava, al contrario, il caos di una casa piena di persone, per poter dar vita alle sue creazioni. Scritto a quattro mani e due voci da Paola e Silvia, Chiamiamo il babbo è un libro che ci è piaciuto – e vi consigliamo di recuperare – per la sua genuinità. Ogni pagina, ogni riga, ogni piccolo dettaglio subito ci ha proiettate indietro nel tempo, facendoci conoscere personaggi grandiosi della storia culturale italiana: Sergio Amidei, Age e Scarpelli, Federico Fellini e Alberto Sordi, solo per citarne alcuni.
L’invidia allora va tutta a Paola e Silvia, anche autrici del documentario Ridendo e scherzando, per aver potuto annusare quell’aria e aver partecipato, ognuna a suo modo ad un periodo irripetibile, in cui i film si scrivevano con pazienza. Perché ogni personaggio, anche il meno appariscente, doveva avere un ruolo in quell’equilibrio perfetto. Sembra tutto così distante dalla fasulla velocità dei nostri tempi. «Credo nei momenti di felicità. E ritengo che ognuno possa cercarseli e trovarli dovunque, anche nel quotidiano. Riprendere in mano un libro che ami, apprezzare le gioie di ogni giorno. Cautelare l’armonia con le persone con cui vivi, stare con i nipoti, rivedere un amico, ricordare, progettare, non perdere curiosità e interesse», dice lo stesso Scola. Ecco dove sta la grandezza di un autore, in questo immenso interesse per le persone; una curiosità che, nel caso di Scola, non è mai stata indiscrezione o invadenza, ma voglia di saperne di più di quelle misteriose creature che sono gli esseri umani.
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