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Enea | Pietro Castellitto, Renato Zero e i sogni di una vita come quelle dei film…

Crimine, romanticismo e una canzone: i dolori del giovane Pietro in un’opera di peso. Ma com’è?

Pietro Castellitto nei panni di Enea, la sua opera seconda, ora al cinema con Vision Distribution
Pietro Castellitto nei panni di Enea, la sua opera seconda, ora al cinema

ROMA – Enea (Pietro Castellitto) e il mito che porta nel nome. Cercava di sentirsi vivo in un’epoca decadente e morta. Cerca di farlo fa assieme a Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio), aviatore appena battezzato, mai allineato. I due, oltre allo spaccio e le feste, condividono la giovinezza. Amici da sempre, vittime e artefici di un mondo corrotto, mossi da una vitalità incorruttibile tra Roma Nord e l’infinito. Oltre i confini delle regole, dall’altra parte della morale, arriveranno ad un mare pieno di umanità e simboli in un’avventura che agli altri apparirà criminale, ma che per loro è, e sarà, prima di tutto, un’avventura d’amicizia e d’amore. Parte da qui Enea, seconda volta di Pietro Castellitto dietro-e-davanti la macchina la presa, ora al cinema dopo il passaggio alla Mostra di Venezia, film complesso e affascinante, eccessivo quanto potente.

Pietro Castellitto è Enea, il protagonista che dà il titolo al film
Pietro Castellitto è Enea, il protagonista che dà il titolo al film

Dopo l’ottimo I Predatori (ne avevamo parlato qui) presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 77 e vincitore del premio per la migliore sceneggiatura, ecco così Castellitto entrare lo scorso settembre dalla porta principale del concorso con un cast che annovera, tra gli altri, Giorgio Quarzo Guarascio, Benedetta Porcaroli, Chiara Noschese, Giorgio Montanini, Adamo Dionisi, Matteo Branciamore (sfregiato), e nientemeno che Sergio e la rivelazione Cesare Castellitto, rispettivamente padre e fratello di Pietro. Ma cos’è Enea?  «Un gangster movie senza la parte gangster», spiega Castellitto. «Una storia di genere senza il genere. La componente criminale del film viaggia silenziosa – sottotraccia – su un binario nascosto, e sopraggiunge improvvisa nelle fessure dei rapporti quotidiani, sconvolgendo i protagonisti ignari».

Benedetta Porcaroli in un momento di Enea
Benedetta Porcaroli è Eva, qui in un altro momento del film.

Un punto di vista filmico inusuale ma efficace quello di Castellitto, mosso da un’esigenza interpretativa particolare: «Il punto di vista che mi ha appassionato è il raccontare le conseguenze del sottobosco criminale nella vita di tutti i giorni. Una narrazione in cui il punto di vista dello spettatore combaciasse con quello di chi subisce il narcotraffico: all’improvviso si può vincere e all’improvviso si può morire, e nessuno saprà mai il perché…». Una puntata sulla lotteria della vita quella di Enea e Valentino, mossi più che da cupidigia e ricerca di maggiore ricchezza, da qualcos’altro, forse da altra vita: «Il bisogno che muove Enea ? Quello di sentire il movimento della vita. Da questo si genera un conflitto, perché poi il paradosso tragico dell’esistenza è che uno la vita la sente meglio quando sta in guerra. Enea e Valentino per sentirsi vivi si inventeranno la loro guerra».

Enea
I genitori di Enea: Sergio Castellitto e Chiara Noschese.

Perché in verità lo sono tutti, in guerra, gli agenti scenici di Enea. Uomini romantici in cerca del proprio posto nel mondo, dilaniati nel profondo tra intimo e facciata, desideri e azioni, eppure ingabbiati in ruoli e modelli sociali che vanno strettissimi: terapisti della rabbia incapaci di gestire lo stress, conduttrici televisive culturali (che brava Chiara Noschese) che detestano i libri, ragazzi poco meno che uomini che giocano a fare i gangster e vanno a caccia di baci (al buio), e gangster veri, consumati, morti dentro, che raccontano delle cose vere della vita e dell’importanza delle occhiaie (il Giordano di Adamo Dionisi che vale il film). Su di loro Castellitto costruisce Enea oggetto strampalato e sorprendente, cinico e inventivo – alienato e consapevole di ideologie e linguaggi del proprio contesto di riferimento – avvolto in soluzioni registiche ricercate e ardimentose tra primi piani densissimi e transizioni poetiche, che è osservazione sarcastica e (auto)ironica del mondo e degli uomini.

Giorgio Quarzo Guarascio aka Tutti Fenomeni in una scena del film
Giorgio Quarzo Guarascio aka Tutti Fenomeni in un altro momento del film

Una pellicola inevitabilmente instabile e difettosa nel suo ibrido di neo-noir alla luce del sole e racconto gangster/non-gangster di formazione, tra Spiagge di Renato Zero suonata e risuonata e i circoli canottieri che sembrano la fine di tutto (forse sono la fine di tutto). Un’opera seconda di carattere e peso – con un finale azzardatissimo – che nel definire sempre più la visione registica di Castellitto dall’impronta autentica capace di parlare per immagini in modo originale e incisivo, ci ricorda dei buoni sentimenti e delle ipocrisie affettive che salvano tutti, delle finzioni necessarie a tirare avanti in una vita zavorrata di apatia e luoghi comuni, di quanto può far male l’amore quando si è senza difese, dell’importanza di Maledetta Primavera di Loretta Goggi e Heaven Is A Place On Earth di Belinda Carlisle. Ma soprattutto di una cosa: resistere ad ogni costo. Un giorno alla volta…

 

 

 

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