MILANO – Harold Pinter e Checco Zalone, Mariangela Melato e Leonardo DiCaprio, e poi Strehler e J-Ax, Ronconi, Mattarella e Scrubs: conversare con Eleonora Giovanardi è come fare un viaggio sulle montagne russe della cultura pop, parlando tanto di medical drama e teatro quanto di letteratura, politica e attivismo. Questa volta l’occasione è per Lea – Un nuovo Giorno, nuova serie che andrà in onda su Rai1 ogni martedì fino al 1° marzo, in cui interpreta la dottoressa Anna Galgano. «Riferimenti? Mia madre è una neurologa quindi vi lascio immaginare la difficoltà nell’interpretare il ruolo», ride lei. «Sono stata contenta di interpretare un ruolo diverso dal solito: sono quasi una villain e mi affascinava cercare le sfumature del personaggio».
LA SERIE – «Da dove cominciamo? Direi proprio da lei, da Anna Galgano, ginecologa, dottoressa e innamorata del primario Marco Colomba, interpretato da Giorgio Pasotti, nonché grande amica di Lea, interpretata da Anna Valle. L’amore per lo stesso uomo ci ha diviso e quindi Anna è un po’ l’antagonista della serie. Non voglio spingermi oltre per non fare spoiler, ma la mia Anna cercherà soprattutto di difendere la sua felicità e di tenersi stretto Marco. Di lei mi intrigava questa parte meno rassicurante. Spesso, anche per la mia fisicità, interpreto sempre ruoli positivi e questa cosa a volte mi pesa, quindi mi sono tolta lo sfizio…».
MEDICAL DRAMA – «Non ho seguito tutte le serie medical, ovviamente, ma devo confessare di essere stata una grande fan di E.R. – Medici in prima linea, fin dai tempi di George Clooney. Ancora oggi quando ripenso alla morte del dottor Green è lutto profondo. E poi tra le mie serie in corsia preferite metto Scrubs – Medici ai primi ferri, che ai tempi ci ha conquistato tutti. Credo che il segreto del successo, penso anche a Grey’s Anatomy, sia sempre il cast corale e le storie che le vicende ospedaliere consentono di raccontare. Anche qui nel caso di Lea – Un nuovo Giorno sul set c’è stata una grande affinità. Ci siamo trovati molto bene e devo dire che Anna (Valle, nda) è una persona da cui imparare: grande professionista, mai un buco di memoria, sempre di buonumore».
LA CARRIERA – «La mia carriera? Sono partita dal teatro, quindi so bene che bisogna sempre stare con i piedi a terra e so anche bene che non sempre si può scegliere. Adesso faccio fatica a valutare il mio percorso perché ci sono in mezzo, sto dentro questo gomitolo di roba e non riesco a trovare un filo. Tendo a essere molto autocritica, mi riguardo sempre, ma cerco anche sempre cose diverse. Dopo Lea, ho girato Dark Matter, un film molto cupo in cui sono una madre a cui rapiscono il figlio, poi Evelyne tra le nuvole di Anna Di Francisca e quindi una commedia molto divertente come La California di Cinzia Bomoll con con le Donatellas, Lodo Guenzi e Nina Zilli».
IL MIO MITO #1 – «Mariangela Melato. Per lei ho una venerazione che viene da lontano. Credo che fosse un’attrice davvero enorme perché non aveva alcun problema a cambiare registro, a essere tante cose diverse, a essere comica o drammatica. Non importava. La vedevi fare Olimpia nell’Orlando furioso di Ronconi, poi la ritrovavi in Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto e ancora in Medea poi. E nonostante stesse sotto l’ala di un maestro come Ronconi non è mai diventata ronconiana, non è mai stata plagiata, anzi, è rimasta molto libera. Una donna di una bellezza rara, una bellezza anche aliena, diversa, unica».
IO & ZALONE – «Non posso negarlo: c’è un prima e un dopo il ruolo di Valeria in Quo vado?. Grazie a quel film e a Checco il mondo del cinema si è accorto di me, ha capito che esistevo. Non voglio prendermi troppi meriti, ma ho fatto cinque provini, ho fatto anche il provino per altri ruoli, come quello del personaggio di Sonia Bergamasco. Poi si è creata un’alchimia incredibile con Checco e Gennaro (Nunziante, il regista, nda) e tutto è successo molto semplicemente. Ma se oggi ripenso a quel film, non è stato un lavoro, è stata una vacanza. Lavoravamo anche di domenica e nessuno si lamentava. Checco a Sanremo? I testi erano scritti bene, ma credo che forse si possa ridere della comunità LGBT+ in maniera più moderna…».
IL MIO MITO #2 – «Lui, l’uomo che non mi ha mai deluso: Leonardo DiCaprio. Mi piace perfino in Don’t Look Up. Perché? Perché è sempre dentro al personaggio e in qualsiasi film, anche se il film è brutto, lui è sempre sensato. Fateci caso: segue sempre un suo percorso. Forse solo in The Aviator non è al massimo. Ma vogliamo parlare di Revolutionary Road? Porto alcune scene di quel film come esempi quando faccio lezione di recitazione. Guardate la sua faccia, la disillusione, il cinismo che piano piano gli occupa il viso. Quel film ha una narrazione adulta con mille sfumature e loro due – DiCaprio e Kate Winslet – le portano tutte addosso. Fondamentale».
IL REGISTA – «Se potessi scegliere un regista con cui lavorare? Dico Paolo Virzì, per dare vita ad uno dei suoi personaggi. Devo dire però che ho visto di recente America Latina e mi piacerebbe anche lavorare con i fratelli D’Innocenzo, magari dentro una favola malata tipo quella. Mi piace quell’angoscia che portano nel loro mondo, vedi Favolacce. C’è qualcosa che mi intriga, forse perché sembra lontano da me e forse non lo è. E poi dico Phoebe Waller-Bridge, perché è incredibile: in Fleabag scrive, dirige e recita senza sbandierarlo troppo. Una fuoriclasse complessa e divertente che non può essere costretta in un genere o in una definizione. Un genio».
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