ROMA – Il cappotto color cammello. I capelli tirati indietro. L’andatura. Lo sguardo gelido. Una delle cose più folgoranti di Christian, la nuova serie Sky? Nessun dubbio: il boss Lino interpretato da Giordano De Plano, un personaggio che pare uscito da una puntata de I Soprano e che, episodio dopo episodio, si prende sempre più la scena. «Mi fa effetto sentir parlare di Lino da altri», riflette lui al telefono, «ma lo confesso senza falsa modestia: guardando Christian ho provato un profondo orgoglio per il lavoro di tutti». Romano, classe 1973, De Plano ha debuttato vent’anni fa con Paz! di Renato De Maria e si è sempre diviso tra cinema e TV, tra Squadra Antimafia fino al debutto dei fratelli D’Innocenzo, La terra dell’abbastanza, ma il ruolo di Lino è già da ora una delle sue cose migliori: «La banalità del male? Io direi più la fragilità del male…».
IL RUOLO – «Da dove partiamo? Da come ho creato Lino? Allora con Stefano (Lodovichi, showrunner della serie, nda) siamo partiti da alcune suggestioni, da immagini che ci scambiavamo anche via WhatsApp. La prima è stata sicuramente la figura di Nick Cave, con questi capelli lunghi a cadere sul collo, i completi stretti e sempre molto eleganti. Alto e magro come me, ma sempre un po’ sinistro. La seconda è stata Robert De Niro in Cape Fear – Il promontorio della paura di Martin Scorsese, anche lui con capelli all’indietro. La terza? Daniel Day-Lewis in Gangs of New York, un capo autoritario e violento, ma anche con dei risvolti umani…».
L’OGGETTO – «Credo ci siano tanti modi per riuscire a trovare un personaggio. Nel caso di Lino in Christian mi è servito anche un abito di scena: il cappotto che ha trovato Veronica Fragola, la costumista. Appena l’ho indossato ho cominciato a sentire anche Lino. Ho sentito la sua postura, il suo mood, la sua andatura. Lino ha l’ossessione per il potere e per il controllo perché in realtà sta cercando di colmare un vuoto familiare: è un orfano, il padre era un piccolo criminale ucciso, la madre una tossicodipendente. Se ci fate caso, Lino cambia molto durante le puntate quando ha a che fare con persone diverse: Christian, Davide, Italia, la moglie».
LA FOLGORAZIONE – «Quando ho capito che volevo fare questo mestiere? Frequentavo l’Istituto Cine-TV Roberto Rossellini a Roma. Ero entrato per fare il fumettista. All’epoca il mio mito era Andrea Pazienza, curioso che poi sarei finito in Paz di Renato De Maria. Avevo quindici anni e sognavo che diventasse il mio futuro, ma amavo già il cinema grazie a mio nonno. A scuola l’insegnante di storia del cinema, Enzo Civitareale, ogni tanto ci portava in un’aula dove c’era una televisione con il VHS. Un giorno mise Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet con Al Pacino e John Cazale. Fu un’epifania. Ricordo che alla fine del film rimasi in silenzio e mi dissi: «Ma io voglio fare quella roba là». E da lì iniziò un dialogo con Civitareale, che un giorno mi disse: “Ma sai che tu Giordano con quella faccia forse ce poi prova’?”. E da lì non sono più tornato indietro…».
I MIEI MITI #1 – «I miei miti? Sono tanti. Potrei citare Volonté, Sordi, Mastroianni, Manfredi, ma ne scelgo due che sono meno celebrati e meritano la riscoperta. Il primo è Montgomery Clift, che ha avuto la fortuna e la sfortuna di essere della stessa generazione di Marlon Brando e James Dean. Clift aveva una fragilità incredibile, era una sorta di crasi tra Dean e Brando. Rappresentava l’attore per eccellenza del Metodo e io per molto tempo ho avuto il mito del Metodo tanto che a un certo punto avevo programmato di partire per New York subito concluso il servizio militare. Invece non ci riuscii, ma ricordo che un’amica mi portò un volantino che aveva trovato in una strada di Roma in cui si diceva che una certa Francesca De Sapio insegnava il Metodo. Era vero, era stata anche allieva di Strasberg e compagna di corso di Pacino. La recitazione come mestiere iniziò lì».
LA CARRIERA – «Ho fatto tante cose in carriera, da Squadra antimafia al primo film dei fratelli D’Innocenzo, La terra dell’abbastanza, e non rinnego nulla, anzi, credo mi sia servito tutto per arrivare qui. Nulla è arrivato in maniera casuale. Mai. Ogni cosa, giusta o sbagliata, è arrivata sempre nel momento in cui doveva arrivare e oggi posso dire di avere una certa consapevolezza sul set. In Christian mi sono trovato molto bene con gli attori più giovani, da Gabriel Montesi a Antonio Bannò, ma devo dire che ogni attore ha portato qualcosa, ha messo un pezzo in più che alla fine è andato a formare il mosaico. Il futuro? Non lo so, ma mi piacerebbe che il ruolo di Lino rappresentasse una sorta di spartiacque nella mia carriera…».
I MIEI MITI #2 – «Ecco il secondo mito: John Cazale. Un attore straordinario. De Niro e Pacino negli anni Settanta facevano la fila per vederlo a teatro. Era come fosse un fratello maggiore per Pacino che voleva lavorare con lui perché la sua presenza alzava l’asticella della recitazione. Cazale ha girato solo cinque film e sono stati tutti candidati all’Oscar come miglior pellicola: Il padrino, La conversazione, Il padrino – Parte II, Quel pomeriggio di un giorno da cani e Il cacciatore. Quando venne scritturato per Il cacciatore nel 1977 era già malato e i produttori non lo volevano per non rischiare. Cimino disse al produttore che non avrebbe fatto il film e De Niro di nascosto si accollò l’assicurazione. Quando morì, nel 1978, era il compagno di Meryl Streep…».
IL FILM – «Un film che consiglio ai lettori di Hot Corn? Allora, di recente ho rivisto un film poco conosciuto, uno dei pochi di cui Al Pacino ha sempre qualche difficoltà a parlare: Cruising di William Friedkin. Pacino interpreta un poliziotto che si infiltra nella comunità gay di New York per trovare un serial killer. Uscì nel 1980, in un momento in cui si cominciava a parlare di AIDS ed è un’opera incredibile, sembra quasi un documentario per come Friedkin ha girato alcune scene. Non si trova facilmente, non esiste in streaming e io ho dovuto comperare l’edizione inglese in Blu-ray. Se amate Friedkin – un regista che io considero enorme – consiglio poi anche di vedere Friedkin Uncut di Francesco Zippel (disponibile su CHILI qui, nda), un documentario unico che racconta lui e il suo cinema…».
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