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Dune e la mastodontica epopea fanta-ambientalista di Denis Villeneuve

Un casta all star (Chalamet, Isaac, Zendaya…) e un’opera ambiziosa e rivelatoria

Dune
Dune

VENEZIA – Difficile, forse impossibile. La sfida racconta da Denis Villeneuve (e dagli sceneggiatori Eric Roth e Jon Spaihts), nel riportare sul grande – anzi, grandissimo schermo – l’epopea fantascientifica firmata da Frank Herbert non era affatto facile. Prima di lui ci avevano provato due come Jodorowsky (che non concluse mai la pellicola) e più tardi David Lynch, con un risultato tutt’oggi discusso. Del resto, quella di Dune non è un’opera semplice, originariamente pubblicata in due parti (nel 1963 e nel 1965) per poi uscire in un’unica edizione, la storia si arrampica e si espande trattando verticalmente temi decisamente profondi e ancestrali, mettendo al centro del racconto – cosa che ha enfatizzato anche Villeneuve – il cammino del protagonista, Paul Atreides (Timotheé Chalamet).

Zendaya e Timotheé Chalamet in Dune
Zendaya e Timotheé Chalamet in Dune

Attraverso la natura e attraverso un’altra cultura il Paul di Chalamet si porta dietro il peso di una solitudine che dovrebbe sorreggere il patrimonio lasciatogli da suo padre, il duca Leto (Oscar Isaac). Tutto, mentre è impegnato a raggiungere il pericoloso pianeta di Arrakis, l’unica fonte della Spezia, ovvero una sostanza in grado di allungare la vita e fornire capacità sovraumane. Naturalmente, riassunta, la trama di Dune – presentato Fuori Concorso a Venezia 78 e disponibile su CHILI – non esplica né spiega molto, basti però dire che il regista canadese – in due ore e mezza mastodontiche, a tratti faticose – ha cercato di percorrere l’unica strada possibile, ossia trovare un equilibrio tra il romanzo di partenza (o almeno sulla prima parte), strabordante di dettagli, di parole, di personaggi, e il pubblico che non ha mai letto l’opera e che, necessariamente, ha bisogno di informazioni.

Josh Brolin e Oscar Isaac

Il racconto, per volere di Villeneuve, diventa il più cinematografico possibile, spassionatamente costruito per la fruizione in sala, tanto da offrire un’estenuante esperienza fisica e immersiva, facendoci prendere parte al viaggio di Paul, tra visioni e previsioni oniriche, tra la sabbia e il cielo infinito, mentre le immagini sono sovrastate dall’incessante colonna sonora di Hans Zimmer che torna a collabora con il regista dopo Blade Runner 2049. Guardandolo (e leggendolo, in qualche modo) il Dune del 2021 mantiene la previsione fatta da Herbert negli Anni Settanta, ritratto di un XXI Secolo schiavo del Colonialismo e asfissiato dai problemi ambientali, oggi esplosi una crisi climatica che ha ampiamente toccato il punto di non ritorno.

Rebecca Ferguson, Zendaya, Javier Bardem e Chalamet in una scena di Dune
Rebecca Ferguson, Zendaya, Javier Bardem e Chalamet in una scena di Dune

Villeneuve, dietro l’estetica perfetta, sincronizzata e (volutamente?) gelida del suo Dune, vuole e intende smuovere il pubblico con una pellicola colossale e stratificata, in cui la poetica sociale incontra quella spettacolare (nell’ultima parte, probabilmente la migliore) che apre ad un futuro in cui idealmente si vuole mescolare il giusto e lo sbagliato, facendo incontrare il bene e il male in un confine indefinito di cui non si può ancora mettere a fuoco l’orizzonte. Per questo il finale, arrivato dopo la catarsi e la metafora di un viaggio lastricato da prove dolorose e lutti inevitabili, lascia dietro di sé la sensazione che le previsioni di Herbert siano in qualche modo avverate. E così non ci resta che (ri)cominciare il cammino, verso un domani che – si spera – sia migliore.

Qui il trailer di Dune:

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