ROMA – Uno spettro che non vuole andarsene, un fantasma che aleggia continuamente sulla cultura pop e sulla società, che tocca tanto blockbuster e registi come Tarantino quanto il mondo indie e la musica, tra i Kasabian (Linda Kasabian era una seguace di Manson) e serie come la dimenticata (eppure non era male…) Aquarius, ma attenzione anche al recente cartoon su Elvis, Agent Elvis, perché anche lì appariva nuovamente in versione animata a sfidare il Re a colpi di pistola e ascia (!). Sì, Charles Manson continua a vivere, reimmaginato e rivisto, pensato e ripensato, da C’era una volta a… Hollywood con Damon Herriman, a Mindhunter per David Fincher, tra omaggi e citazioni a quella maledetta estate del 1969.

Ma c’è un altro film interamente incentrato (e totalmente dimenticato) su Manson e la sua discesa verso la follia. Presentato alla Mostra di Venezia nel 2019, Charlie Says – oggi lo trovate in flat su Prime Video – va a rimpolpare la fila di produzioni che vedono Charles (ancora) protagonista, ma non solo, perché nel film di Mary Harron (non a caso regista di quel cult che fu American Psycho) si va oltre, nel tentativo di raccontare l’interno della sua comunità. Il personaggio principale del film è infatti proprio il suo culto, la storia su cui vengono raccontante le memorie del suo circolo di donne. Capaci, nell’esaltazione quasi divina per il loro pastore, di non cogliere, in verità, la loro vicinanza ad una mattanza spietata.

Dietro le sbarre di una prigione autentica – non quella del ranch di Manson in cui si prendeva cura della sua famiglia – Hannah Murray, Sosie Bacon e Marienne Rendón fanno rivivere testimonianze agghiaccianti, non tanto legate agli atti di violenza fisica con cui sono stati conosciuti nel mondo, ma indotte da una manipolazione talmente subdola e talmente penetrante da distorcere gradualmente la realtà. È la decostruzione dell’identità personale dell’individuo che si vede nelle parole, nelle regole e nei desideri di Manson. Perché qualsiasi cosa pensa Charlie «Is true». Qualsiasi cosa dice Charlie «Is right».

Sulla base dei romanzi La famiglia. Charles Manson e gli assassini di Sharon Tate di Ed Sanders (lo trovate edito da Felitrnelli) e The Long Prison Journey of Leslie Van Houten di Karlene Faith, la regista insegue i rituali pericolosi e perversi messi in atto dalla mente di Charles Manson che, viaggiando parallelamente, diventano sempre più oscuri quando la consapevolezza della mistificazione subita dalle donne si fa logorante e asfissiante. È la preparazione agli omicidi far lievitare l’angoscia che si attacca allo sguardo di noi spettatori, che tra Cielo Drive e i coniugi LaBianca vediamo la follia di una guerra che era unicamente nella mente offuscata di una insana divinità.

Passando dalla bontà illimitata di Doctor Who alla mania di fama e controllo di Charles Manson, Matt Smith – bravissimo e agghiacciante nella parte, affiancato da Hannah Murray, Sosie Bacon, Suki Waterhouse e Grace Van Dien nel ruolo di Sharon Tate – incarna i deliri e le visioni di Manson, per un film assolutamente da riscoprire che è il riassunto palese delle assurdità di ciò che è stata la sua famosa famiglia e che, pur non eccedendo in veemenza, lascia una pesantezza quanto mai ingombrante. La stessa con cui quelle donne hanno dovuto convivere per tutta la loro vita. Senza mai trovare una via d’uscita…
- VIDEO | Qui il trailer di Charlie Says:
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