MILANO – No, non fatevi confondere dal titolo. Ben Cash, il Captain Fantastic interpretato da Viggo Mortensen, non ha nulla a che fare con i cinecomic dell’universo Marvel. Non ha poteri sovrannaturali e le sue uniche armi sono un coltello da caccia e un libro di Dostojievski da leggere ad alta voce. Un allenamento fisico e mentale quotidiano il suo, esteso anche ai sei figli con i quali vive nei boschi della Pacific Northwest. Lontano dalla società capitalista e dalla moglie Leslie, anima gemella e fragile la cui morte li costringerà a (ri)mettere piede in un mondo sconosciuto fatto di acqua avvelenata (la Coca-Cola) e dove i polli si comprano già morti.

Presentato in anteprima mondiale al Sundance di Robert Redford, il secondo lungometraggio dai «tratti personali» dell’attore Matt Ross è poi approdato a Cannes69. In quale sezione? Un Certain Regard, naturalmente, dove ha vinto il premio per la miglior regia superando in gradimento film come Hell or High Water e The Dancer. Famiglia, lutto, società americana, educazione, conflitti, contraddizioni. Captain Fantastic – lo trovate su CHILI – è uno di quei film stratificati che, mentre raccontano una storia, parlano (anche) di altro, sollevando quesiti e mostrandone una (possibile) risposta.
Mortensen abbraccia profondamente il suo personaggio, padre amorevole e dittatoriale, che con la donna amata sognava un futuro da «re filosofi» per i loro figli, giovani brillanti cresciuti a caccia e Bill of Rights da recitare a memoria. Ma l’impatto con l’America, percorsa on the road su un vecchio scuolabus blu per congedarsi dalla moglie/madre, spezzerà l’incanto di un’utopia che mostrerà i suoi limiti a contatto con il mondo esterno. E qui c’è il cuore pulsante del film di Ross: una riflessione sul problema dell’educazione nella società contemporanea e il ruolo della figura genitoriale.

Perché se Ben era convinto che festeggiare il Noam Chomsky Day, vivere tra alberi secolari ed escludere dalle loro vite ogni elemento “corrotto” bastasse a preparare i suoi ragazzi alla vita, sarà la morte della compagna a insegnargli la necessità del compromesso. Leslie, moglie e madre capace di indicare la strada giusta da percorrere anche nell’assenza, di riparare e riunire ciò che sembrava essersi frammentato grazie a una canzone. «Where do we go now, sweet child o’ mine?».
Qui un mix della colonna sonora del film:
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