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Bordertown | Jennifer Lopez, i femminicidi in Messico e la storia vera dietro il film

Gregory Nava porta sul grande schermo i crimini irrisolti di Juárez per dare voce a tutte le donne uccise

MILANO – Il 17 dicembre 1992 il Presidente degli Stati Uniti George H. W. Bush, il Presidente Messicano Carlos Salinas de Gortari e il Primo ministro del Canada Brian Mulroney firmarono il NAFTA, l’Accordo Nordamericano per il Libero Scambio. Un trattato che stabiliva l’eliminazione dei dazi doganali sulla metà dei prodotti americani diretti verso Messico e Canada. Si moltiplicarono così al confine tra Stati Uniti e Messico i maquiladoras, stabilimenti industriali in cui venivano fabbricati o assemblati merci poi esportate in altri Paesi. Gregory Nava nel 2006 realizza Bordertown, un film denuncia sui crimini irrisolti di Ciudad Juárez, città/fabbrica al confine fra Rio Bravo e El Paso.

Bordertown
Le croci piantate sul luogo del ritrovamento di una fossa comune

Nei maquiladoras venivano assunte prevalentemente donne costrette a lavorare oltre dieci ore al giorno per una paga misera. Nel 1993 molte di loro – il dato ufficiale è di 400 ma il numero è tristemente superiore alle oltre 4000 scomparse– furono rapire, violentate, torturate e uccise nei pressi di Ciudad Juárez per poi essere sepolte in fosse comuni scoperte solo successivamente. Gregory Nava racconta in Bordertown la storia di queste donne attraverso la figura di Eva (Maya Zapata), una giovane lavoratrice che riesce a sopravvivere all’aggressione, e Lauren Adrian (Jennifer Lopez), una giornalista del Chicago Sentinel mandata dal suo Direttore ad indagare sulla serie di omicidi.

Bordertown
Una scena di Bordertown

Considerata tra le città più pericolose del mondo, tra l’egemonia del narcotraffico e un tasso di omicidi da record, Juárez vive di criminalità e industrie di proprietà degli Stati Uniti gestite da locali che prediligono assumere giovani donne (spesso minorenni) arrivate da tutto il Paese in cerca di un lavoro per poi finire vittime di un destino fotocopia. “La città che uccide le donne” è il macabro appellativo che si è guadagnato Juárez nel corso degli anni in cui ragazze dai 15 ai 25 anni hanno continuato a morire nonostante le denunce e l’indignazione globale.

«Nunca más»

Già perché dalla metà degli anni Novanta ad oggi (quasi) nulla è cambiato. Un genocidio di genere figlio di criminalità, degrado, mancanza di una cultura del rispetto, corruzione e impunità. Negli anni organizzazioni come Amnesty International hanno dato vita ad una campagna d’informazione per gettare luce su ciò che accade al confine tra Messico e Stati Uniti mentre i parenti delle ragazze scomparse si battono quotidianamente per chiedere giustizia. Nel 2011 la poetessa e attivista Susanna Chávez fu trovata uccisa e mutilata a pochi metri dalla sua abitazione. Suo era lo slogan «Nunca más»«Non una morta di più» – usato durante le manifestazioni per chiedere la fine del massacro delle donne messicane. Il suo caso, come quello degli altri undici attivisti uccisi quell’anno, non è mai stato risolto.

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