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Battle Royale | Il futuro distopico e il testamento moderno di Kinji Fukasaku

Il cult del regista giapponese arriva in sala a vent’anni dalla sua uscita grazie a CG Entertainment

Una scena di Battle Royale

MILANO – Battle Royale apre il sipario dando spazio alla fine, inscenando qualcosa di appena terminato e intonando una Messa da Requiem, la preghiera per i defunti, la celebrazione e il saluto verso chi è scomparso. Battle Royale inizia dalla fine per poter ricominciare qualcosa dal suo inizio, per riprendere un discorso che non riesce a evolversi e continua a ripetersi, e il capolavoro di Kinji Fukasaku non poteva non uscire se non nel 2000, alla fine di un secolo tragico e all’inizio di un millennio che continua a indossare vestiti sporchi e macchiati di sangue. Il film gioca costantemente con concetti estremi e quando esce in Giappone frantuma l’opinione pubblica e diventa un caso mediatico, la sua crudezza e il mostrare senza remore le enormi criticità di una società chiusa e repressiva lo spingono a diventare un oggetto universale, che trascende i confini geografici e smuove terremoti sociali unanimi.

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Una scena di Battle Royale

Più di vent’anni dopo la sua uscita il film di Kinji Fukasaku, grazie a CG Entertainment, ha una vera e propria distribuzione cinematografica italiana – lo trovate in sala – per poter riscoprire o scoprire in versione restaurata uno dei cult del cinema giapponese capace di essere il capostipite di un modo preciso e chirurgico di fare cinema, di un’idea che vuole arrivare a toccare i limiti visivi e narrativi. Kinji Fukasaku ambienta il suo film in un futuro non troppo lontano, estremizza la società odierna e la fa collassare in una situazione incontrollata e incontrollabile dove il disagio giovanile è straripato in ogni ambito e lo Stato per reprimere l’aumentare imperterrito di una violenza insensata estrae ogni anno una classe liceale che dovrà partecipare a un crudele gioco di sopravvivenza, dove solo uno resterà vivo.

Un’immagine del film di Kinji Fukasaku

Più di quaranta studenti vengono portati su un’isola deserta e abbandonati a un destino disumano con solo uno zaino e qualche arma per difendersi e combattere. Inizia così una battaglia reale che risveglia in ogni partecipante il proprio essere, chi decide di togliersi la vita per non partecipare a qualcosa di così inconcepibile, chi uccide senza nessuna pietà e chi cerca disperatamente di trovare un modo per andarsene da quella lucida follia. Un’escalation di eventi impattanti e ribaltamenti continui dello status quo che rendono Battle Royale un film equilibrato e sorprendente nella sua durezza visiva e nella sua capacità di mettere costantemente in difficoltà lo spettatore.

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Una scena del film

Battle Royale è il testamento definitivo della poetica di Kinji Fukasaku, l’ultimo film di un uomo che ha il Giappone cucito sulla pelle, che conosce la sensazione di trascinare un cadavere di un compagno di classe, che si è scontrato per tutta la vita con le politiche conservatrici di un paese chiuso e incapace di colmare le proprie crepe sociali e generazionali. Il film non è nient’altro che l’esplosione di dissenso verso un modo di governare che invece di unire continua a dividere e separare, creando confini che sfociano in malessere travestito da violenza. Fukasaku estremizza il concetto inscenando una società repressiva e fascista, che si deresponsabilizza dei propri errori e li addossa a una generazione lasciata sola che risponde con la violenza perché è l’unico modo che conosce per confrontarsi e oltretutto la costringe a pagare un debito più alto del dovuto, a scontare una punizione che risiede altrove.

Una scena di Battle Royale di Kinji Fukasaku

Fukasaku racconta senza alcun freno un futuro distopico per far emergere il cortocircuito sociale che ancora oggi persiste e non riesce a sbloccarsi, un Giappone che vive di continue contraddizioni, che vive di tradizione e maschere di apparenza che nascondono sotto delle crepe che continuano ad allargarsi e generare conseguenze sempre più problematiche. Battle Royale per quello che riesce a rappresentare e per aver scardinato le classiche regole cinematografiche è ormai una pietra miliare del cinema orientale, che non si conclude con una fine ma con un inizio, un inizio che si trasformerà in qualcos’altro in un sequel che porterà a termine il figlio di Fukasaku, chiudendo un cerchio dove inizio e fine non si riescono a percepire.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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