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Ari Aster: «Il bosco, la madre, le paure e Joaquin Phoenix: vi spiego Beau Ha Paura»

Una sera al cinema Beltrade con il regista in collegamento da casa sua a New York. Noi c’eravamo…

Ari Aster riflette sul senso di Beau Ha Paura.
Freshly Popped

MILANO – «Chissà, forse un giorno smetterò di essere così criptico…». In diretta in collegamento da New York ad un certo punto in mezzo allo schermo appare proprio lui, Ari Aster, che grazie ad I Wonder e al cinema Beltrade di Milano – in collegamento anche con Bologna – si dilunga con gli spettatori italiani in un lungo dialogo di quasi un’ora alla fine della proiezione di Beau Ha Paura, tra domande e curiosità. «Se è giusto pensare che alla fine vincano le paure di Beau? Potrebbe essere così. È riduttivo, ma sembrerebbe di sì…». Parole messe in fila con calma da un autore unico capace di lasciare a bocca aperta addirittura Martin Scorsese e che – oltre alla recensione del film che ritrovate qui – avevamo provato anche ad analizzare partendo dai suoi primi cortometraggi in una puntata delle nostre Storie (qui). Ma ecco cos’ha detto Aster durante l’incontro virtuale.

Beau Ha Paura
L’apparizione di Ari Aster al cinema Beltrade.

IL SUO MONDO – «Volevo una storia che collassasse su se stessa, che esplodesse. Per farlo volevo entrare nell’interiorità di un personaggio ed esteriorizzarne l’interno: il mondo che vediamo è il suo riflesso. Vivendo a New York ho rappresentato una versione della città in cui si sono realizzate tutte le nostre paure, ma non c’è nulla di autobiografico in Beau Ha Paura. Voglio dire, c’è un mostruoso pene gigante in una scena (ride, nda), ovvio che la storia è finta. E poi io ho un ottimo rapporto con mia madre. Sicuramente ci sono sentimenti autobiografici nella storia, ma è tutto finto. Volevo anche godermi questo mondo fittizio e da qui deriva tutto il divertimento tragico del film, ma mentre lo scrivevo non pensavo certo alle aspettative del pubblico. Se un film è divisivo lo si scopre soltanto quando il film è al cinema. A me importa delle reazioni degli spettatori, ma nella scrittura di volevo sentirmi completamente libero e non pensare alle aspettative. Anzi, volevo liberarmi dal peso di queste, ma ribadisco che non è una libertà che mette in secondo piano lo spettatore…».

Ari Aster
«Pronto Ari, sei tu?». Joaquin Phoenix in una scena di Beau Ha Paura.

IO & JOAQUIN – «Lavorare con Joaquin Phoenix? L’esperienza migliore della mia vita, perché Joaquin è un attore che si sfida e che sfida anche il personaggio che interpreta. Lavorare con lui è stato un dialogo continuo: abbiamo parlato molto dello script e di tutto quello che funzionava e poteva non funzionare. Sul set mi faceva venire anche dei dubbi con domande che neanche io mi ero mai posto fino a quel momento. In questo modo abbiamo lavorato al meglio sul personaggio. È stata una sfida per lui ma anche per me, oltre che molto importante. Solo così siamo riusciti a fare uscire Beau, scena dopo scena….»

Aster sul set con Joaquin Phoenix.

LA CHIAVE – «La parte centrale della storia nel bosco è fondamentale. Spesso nelle fiabe il bosco simboleggia la sfida che il personaggio deve affrontare per andare incontro ad una possibile crescita, ma l’uomo – in sé per sé – non cambia ed è quello che in fondo racconta questo film. Beau non riesce a liberarsi dalle sue catene, dalle sue paure, e la scena nel bosco è sicuramente un momento in cui lui acquista questa percezione di sé stesso e lo vede come un momento di consapevolezza, ma non sappiamo se ne trarrà vantaggio. Come scopriamo più avanti nel film effettivamente non sarà così. Potrebbe essere un momento che è in realtà la chiave di lettura di tutto il film…».

Una scena de La Casa Lobo di Cristóbal León e Joaquín Cociña. Lo trovate su MUBI.

LE ISPIRAZIONI – «Mentre scrivevo il film non pensavo a nulla in particolare, ma se devo essere più specifico nella scena fuori il palazzo in cui abita Beau lavorare con tutte quelle comparse mi ha fatto pensare a Play Time – Tempo di divertimento di Jacques Tati. Invece per la sequenza animata sono entrato in contatto con due artisti cileni, Cristóbal León e Joaquín Cociña, che avevano diretto un film d’animazione, La casa lobo. Non mi hanno ispirato direttamente perché li ho contattati dopo aver visto il loro film, quando la sequenza del teatro era già scritta e definita, ma non volevo un’animazione tradizionale. Volevo degli artisti con cui collaborare ad un livello piuttosto complesso, perché bisognava trovare il modo di mescolare la mia visione del film con la loro visione, e così è stato. I registi italiano che ammiro? Dario Argento, Dino Risi, Antonioni, Fellini: per me è un film molto importante. Lo riguardo spesso…».

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