ROMA – Anora è una giovane sex-worker di Brooklyn che ha la possibilità di vivere una storia da Cenerentola quando incontra e sposa – molto impulsivamente – il figlio di un oligarca. Una volta che la notizia raggiunge la Russia, la sua favola viene però seriamente minacciata quando i genitori partono per New York per ottenere l’annullamento del matrimonio. Parte da qui Anora, il nuovo film di Sean Baker vincitore della Palma d’Oro a Cannes con protagonisti Mikey Madison, Yuriy Borisov e Mark Eydelshteyn, ora al cinema finalmente anche in Italia con Universal Pictures. Il film è un’anomalia nel cinema di Baker, da sempre localizzato in bolle isolate, nascoste, ai margini di luoghi onirici, come Tangerine e le prostitute di Hollywood oppure il bellissimo The Florida Project e quel motel a due passi da Disney World.
Questa volta è New York l’arena scenica, ma è pur sempre delle lotte quotidiane di personaggi dalla precaria esistenza che Baker racconta: «Dopo che abbiamo compreso il significato della trama che ha dato forma allo script, quando siamo arrivati al punto in cui abbiamo capito che Anora avrebbe parlato di una giovane prostituta, quello che faccio normalmente con tutti i miei film è incontrare e scegliere i miei consulenti. In questo caso Andrea Werhun dalla cui biografia abbiamo tratto il soggetto (Modern Whore). E abbiamo iniziato a esplorare il personaggio, Anora, e cosa rappresenterebbe raccontare di una giovane sex-worker a New York. Non credo che Hollywood avrebbe affrontato così un film come questo, volevo che esplorasse temi diversi e uno di questi è il potere e le dinamiche di potere».
Un tematica, quest’ultima, su cui si è espresso così Baker: «Anora ha il suo potere, è consapevole del suo potere e ha il controllo anche quando il mondo intorno a lei le sta crollando addosso. Quindi, in realtà si trattava solo di esplorazione di forza e potere, ma è anche una commedia. Penso sempre che l’umorismo sia necessario nelle storie umane perché fa parte delle nostre vite. Tutti usiamo l’umorismo per farcela, per sopravvivere, e proprio non sopporto quando vedo un film privo di umorismo o racconto una storia priva di umorismo, semplicemente perché non è reale. La sfida di Anora è stata proprio questa, il bilanciare una storia che alla fine è tragica, ma quanto infondi umorismo e tutto diverso. Diventa un vero atto di bilanciamento lungo il percorso».
Prima che uno spaccato di vita ai margini, infatti, Anora è una rom-com, ma alla maniera di Sean Baker. Vale a dire una narrazione costellata di tutte le tipicità della commedia romantica opportunamente radicate nella realtà vera. Quindi un incontro idilliaco, un’unione naturale e spontanea di due singoli appartenenti a mondi diversi – un viziato ma dolce ventunenne che dalla vita ha avuto tutto servito su un piatto d’argento e una ventitreenne sex-worker che lotta con le unghie e con i denti per la propria indipendenza – che diventano presto un’unità in un amore nato per gioco ma che è subito vero, fisico, complementare. Una fiaba urbana su come i miracoli possano accadere nella vita di ogni giorno.
Poi però c’è la realtà che prende il sopravvento, e Anora cambia pelle e diventa un film sull’amore che può ucciderti e la dissimulazione dei sentimenti anche più puri, sulla disillusione, la corruzione d’animo e sulle maschere che indossano gli uomini. Un film di cieco cinismo, di occasioni gettate, di crudeltà insensata e di dolore che brucia come carne viva quello di Baker, che sceglie di raccontarcelo nelle forme di una commedia nera che fa commuovere, si, ma che fa anche ridere con la pancia. Toni e sapori diversi gestiti con armonia e cura nelle sue transizioni di registro da una Madison padrona della scena e allo stato dell’arte: formidabile nei momenti comici, straordinaria in quelli più maturi e drammatici.
Tra Cenerentola e Fuori Orario, ecco Anora. Un film di cui sentiremo parlare tanto e a lungo, e non solo per l’inaspettata (ma sacrosanta ci sentiamo di dire, per quanto anche The Seed of The Sacred Fig…) Palma d’Oro a Cannes che va a consacrare, oltre ogni smisurata ambizione, il cammino registico del cinquantatreenne Baker e del suo cinema di uomini-e-donne ai margini, ma perché tanto divertente, doloroso da star male e bello da morire.
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