ROMA – «Per anni ho creduto che mio zio Massimo fosse Lucio Dalla». Parte da qui, da un ricordo personale e da uno sguardo d’infanzia, il documentario Quale Allegria di Pierfrancesco Li Donni. Un titolo che richiama esplicitamente uno dei brani più iconici del cantautore bolognese e che racchiude, in sé, tutto il paradosso e la dolcezza di questo racconto. Massimo è lo zio del regista, affetto da una grave disabilità cognitiva, e la camera lo osserva con pudore, affetto e rispetto. Il film nasce proprio da questa osservazione quotidiana, intima e delicata. Un’attenzione che si fa cinema e che cerca di colmare lo spazio tra ciò che siamo e ciò che ricordiamo, tra realtà e suggestione. Quella suggestione è il cuore emotivo del documentario: da bambino, Li Donni era convinto che suo zio e Lucio Dalla fossero la stessa persona. Da questa sovrapposizione nasce un viaggio poetico e profondo, che parla di identità, affetto e memoria, ma anche della difficoltà, e della bellezza, di guardare davvero gli altri. Quale Allegria è uno di quei documentari che sorprendono per la semplicità disarmante con cui sanno raccontare l’indicibile.
VIDEO | Guarda qui il trailer del documentario
Lascia un Commento