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TWST – Things We Said Today | Andrei Ujica, il mito dei Beatles e l’America del 1965

New York, i sogni, i fan, ma anche la violenza di Watts: dopo Venezia, il documentario arriva a Roma

TWST Things We Said Today
I Beatles all'aeroporto di New York: era l'agosto del 1965.

ROMA – «Saranno famosi a lungo?», chiede qualcuno. Sono i giovani a rispondere: «Per sempre. Come Elvis e Sinatra. Come gli artisti e le divinità». Chi mai avrebbe potuto associare naturalmente, le immagini dell’idolatria americana nei confronti dei Beatles, giunti lì per il leggendario concerto del 1965 allo Shea Stadium di New York City, a quelle della violenza imperante, gratuita e folle, perpetrata dalle forze dell’ordine a Watts, distretto di Los Angeles, e dai semplici cittadini a danno della popolazione di colore, se non Andrei Ujica? Documentarista romeno estremamente celebrato e sperimentale – 2 Pasolini’ vale la pena d’essere recuperato, così come The Autobiography of Nicolae Ceaușescu, ora alla Triennale di Milano – Ujica ha dedicato ben dodici anni della sua vita alla realizzazione di TWST – Things We Said Today, che dopo il passaggio all’ultima Mostra di Venezia arriva ora in anteprima al cinema Troisi, a Roma, dal 20 al 24 dicembre.

Lo sbarco a New York: i Beatles nel 1965 al JFK.

Ultimo caso documentaristico che è – per tutti noi e, inevitabilmente, per lo stesso Ujica – un’ulteriore conferma di un’abilità registica che non coincide esclusivamente con l’impeccabile messa a punto del materiale d’archivio, in relazione al nuovo (qui animato dal disegno di Yann Kebbi), ma anche e soprattutto con l’associazione di idee e urgenze politiche, sociali e narrative, qui folgoranti e necessarie, oggi più che mai. Dalla ormai leggendaria Radio Caroline – ci ricordiamo del meraviglioso I Love Radio Rock di Richard Curtis? -, all’atterraggio del volo dei Beatles su suolo americano. Primissimo momento di una consapevolezza differente, che è sì quella dei fan scalmanati in grande attesa, ma anche di una idea evidentemente violenta, senza regole e strabordante di idolatria, ulteriormente esplicitata nel corso della conferenza stampa, segmento chiave di TWST.

Una delle rielaborazioni grafiche contenute in TWST – Things We Said Today.

Lì dove non c’è ascolto, lì dove non c’è parola, soltanto caos e desiderio folle di gridare ai microfoni, dunque al mondo: «Sono un grande fan, sono un grande fan». È la Beatlemania, ma è anche la necessità di rintracciare una divinità, che si possa ascoltare e osservare concretamente, senza bisogno di pregarla in una chiesa, né tantomeno evocarla. Basti pensare ai fan in attesa notte e giorno sotto le finestre dell’hotel. Confessano alla stampa: «Loro devono farsi vedere. Non ci deluderanno. I Beatles si faranno vedere». Una devozione spudorata e religiosa, che siamo abituati oggi a vedere solo rispetto al Papa (o a Taylor Swift). Insomma i Beatles sono lì. Lo sanno gli appassionati, lo sanno perfino quelli che mai hanno avuto intenzione d’ascoltarne una traccia e l’America è esplosa. Eppure l’evidenza, colta abilmente da Ujica, è quella di un’esplosione sociale inarrestabile, derivata non soltanto dal concerto storico dei Beatles allo Shea Stadium, ma anche e soprattutto dall’intolleranza razziale e dalla violenza sempre più estesa e generalizzata, perpetrata tanto dalle forze dell’ordine, quanto dai cittadini a danno della popolazione di colore.

I Beatles e quel 1965: un altro frammento di TWST.

In questo senso risulta centrale un frammento d’archivio sul quale Ujica sceglie di soffermarsi a lungo. A parlare è la rassegnazione di un uomo che nemmeno vive lì, eppure non appena giunto a New York, viene insultato non per un gesto, non per una parola, ma per il colore della sua pelle. Ecco che quell’uomo, un po’ in preda alla frustrazione e un po’ alla rassegnazione, dice all’intervistatore e inevitabilmente a tutti noi: «Volete che il risentimento, il nostro risentimento scompaia da un giorno all’altro? È impossibile, ci vorrà tempo, molto tempo». Non è possibile dimenticare l’odio. Non è possibile chiederlo. Eppure, attorno alla violenza indisturbata, cieca, anzi promossa da chi dovrebbe porre un freno e mettersi all’ascolto dei venti del cambiamento, la musica rimbomba. Attenzione, non è quella dei Beatles e questo Ujica lo sa molto bene.

TWST
Un altro pezzetto del documentario, memoria su memoria di TWST – Things We Said Today

È piuttosto quella dei ghetti e di tutti coloro che in quel momento, sono per i bianchi americani, fan sfregati di Twist and Shout, And I Love Her e la stessa Things We Said Today, che dà poi il titolo al film, gli ultimi, gli emarginati, i cittadini di serie B, la pelle nera. Quella da lavar via, o peggio, da uccidere. Attorno all’intolleranza, la musica e i volti e corpi fantasmatici, che animati da Yann Kebbi in un tratteggio parziale, ci guidano nelle settimane che precedono il concerto. Sono ombre. Forse siamo noi, forse sono loro. Una cosa è certo: se sono loro, non hanno voce, specialmente dinanzi ad un microfono. Ujica glielo consegna attraverso le immagini di repertorio e il grido feroce, che squarcia la transizione a nero conclusiva: «Non siamo stati davvero qui per i Beatles! Ora vi è chiaro?». Sull’importanza della cronaca, della verità e della radio, che trasmette il suono del mondo in tempo reale. Talvolta anche il cinema ne è capace. È questo il caso.

  • VIDEO | Andrei Ujica: «Io, i Beatles e il mio viaggio…»
  • VIDEO | Qui il trailer di TWST – Things We Said Today

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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