ROMA – Ingrid (Julianne Moore) e Martha (Tilda Swinton) erano amiche da giovani, quando lavoravano alla stessa rivista. Ingrid è diventata una scrittrice di romanzi, Martha è diventata una reporter di guerra, separate dalle circostanze della vita. Dopo anni di assenza, si incontrano di nuovo in una situazione estrema, ma stranamente dolce in una casa costruita nel mezzo di una riserva naturale nel New England. Tratto da Attraverso la Vita di Sigrid Nunez (in Italia edito da Garzanti editore, 2022) ecco finalmente The Room Next Door, ovvero La Stanza Accanto, il nuovo film di Pedro Almodóvar – il primo girato interamente in inglese dopo due cortometraggi – vincitore del Leone d’Oro a Venezia 81 e al cinema in Italia con Warner Bros. Pictures.

Un nuovo inizio per Almodóvar, La Stanza Accanto, o forse, più semplicemente, l’ennesima tappa di uno straordinario viaggio filmico che lo ha visto misurarsi con la non indifferente sfida linguistica: «È il mio primo lungometraggio in lingua inglese ma la mia insicurezza è scomparsa dopo la prima lettura a tavolino con Tilda e Julianne, alle prime indicazioni di regia. La lingua non sarebbe stata un problema, e non perché io padroneggi l’inglese, ma perché tutto il cast era pronto a venirmi incontro per capirmi e farsi capire. I miei film sono pieni di dialoghi. La parola è fondamentale come nel teatro». Sono proprio i dialoghi, infatti – e le parole al loro interno -, ciò che colpisce maggiormente alla visione del film.

Ogni confronto dialogico procede tra pause e silenzi nell’alternanza di campi e controcampi su cui Almodóvar avvolge i volti delle sue meravigliose protagoniste in primi e primissimi piani da far strabuzzare gli occhi dalla bellezza. Silenzi che diventano subito musica nelle parole in esso dischiuse. Ognuna di esse è, infatti, rivelazione e rimpianto di momenti di vita passata, gioia e dolore di quella presente, e ombra e incertezza per quella futura. È di morte che parla Almodóvar con La Stanza Accanto. Ce la sbatte in faccia sin dal primo turning point del racconto. Ma lo fa evitando il facile sentimentalismo e i toni melodrammatici. Ci sono invece tatto, sobrietà, delicatezza.

La narrazione è solida-e-fragile nel suo impianto teatrale. Tutto si gioca su dialoghi secchi, spaventosamente lucidi nel parlare di suicidio assistito, ma anche ricchi di calore e vita. Perché per quanto La Stanza Accanto ci metta di fronte all’ineluttabilità dell’esistenza umana, non rinuncia a ricordarci il valore di un buon libro, di una maratona di film per tutta la notte con una persona a noi cara, del cinguettio degli uccelli al mattino, del fare l’amore come unica arma contro le guerre e di come un abbraccio possa davvero, per pochi attimi, renderci completi. Le piccole cose, insomma, quelle che fanno davvero la differenza e ci ricordano cosa vuol dire essere vivi.

Ma è anche un film di immagini, La Stanza Accanto, semplici, pure, limpide, vivaci e coloratissime nelle sue tonalità pastose, e semanticamente ricche. Sono (quasi) tutte immagini dal duplice significato quelle costruite da Almodóvar che riesce a trasmettere – con la stessa sequenza accolta in differenti momenti filmici – ora serenità e vita, ora dolore e morte. E transizioni poetiche, riflessioni politiche sull’estrema destra e il neoliberismo, altre sul cambiamento climatico, l’inedita coppia Moore-Swinton destinata a entrare nei libri di storia, un omaggio meraviglioso a Gente di Dublino di James Joyce e la certezza che di un film così sentiremo parlare tanto e a lungo.
- HOT CORN TV | La Stanza Accanto, il trailer:
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