LOCARNO – C’è un tempo sospeso, uno che non conosciamo ancora del tutto e che con tutte le sue ombre ha dato adito al cinema e alla letteratura a immaginare storie fantastiche e grottesche, piene di misticismo e creature fantastiche e gesta nobili. Il Medioevo è ancora nell’immaginario collettivo un tempo e un luogo dove pressocché ogni storia è possibile. Lo è stata anche quella scaturita dalla penna di Luigi Malerba nel 1978, quando diede alle stampe Il Pataffio, e lo è ancora oggi con l’uscita in sala del film che quel libro lo porta sullo schermo, sotto la regia di Francesco Lagi, dopo essere passato in concorso alla 75° edizione del Locarno Film Festival.
Non era certo un’impresa facile, adattare l’universo letterario così denso e significativo di Malerba. Ma anche grazie a un grande cast – con Lino Musella, Alessandro Gassmann, Valerio Mastandrea, Viviana Cangiano, Giorgio Tirabassi e Vincenzo Nemolato – il film funziona nonostante tutte le difficoltà di una lingua e di un luogo che avrebbero potuto esserne la rovina. Francesco Lagi cavalca le orme di un grande classico di questo genere di commedia storica come L’armata Brancaleone di Monicelli, i cui rimandi sono fin troppo facili tanto vengono subito alla mente, ma riesce allo stesso tempo a distaccarsene creando un film nuovo che riesce a sorprendere le aspettative anche dei più scettici.

D’altronde, le vicende del Marconte Bellocchio (Lino Musella) e di donna Bernarda (Viviana Cangiano), sua nuova sposa, sono solo il motore che dà il via a un intreccio di comicità e politica da cui nessuno viene escluso. Non il feudo in rovina dato come dote nuziale o i consiglieri che il Marconte si porta appresso – un consigliere e un frate a cui Tirabassi e Gassmann danno vita con maestria e non poco divertimento. Ma non vengono esclusi nemmeno i soldati, obbligati all’obbedienza a un signore che non ha idea di come si comandi una corte, e i villani, il popolo ostile che Bellocchio si trova a fronteggiare capitanato dal più spigliato di tutti, il Migone di Valerio Mastandrea.
Il Pataffio, nel suo essere irrimediabilmente buffo e canzonatorio, riesce a fare degli ostacoli i suoi punti di forza. A partire dalla lingua, quella utilizzata anche da Malerba, non ancora del tutto italiano volgare e comunque ancorata al latino, che risulta in una lingua arcaica dalle intonazioni romane che nella sua stranezza è ciò che riesce a dare il giusto tono comico alle battute e i momenti che accompagna. Allo stesso modo la retorica, perché la storia è prima di tutto una riflessione sulla politica e i giochi di potere cammuffata da buffo racconto medievale, è ciò che muove i personaggi e li rende le vittime perfette delle proprie menti, delle proprie azioni e delle proprie decisioni.

Con Il Pataffio, Francesco Lagi rende omaggio a una certa tradizione italiana pur facendo qualcosa di completamente nuovo. Il film che ha rappresentato l’Italia nel concorso di Locarno75 forse è troppo radicato nella nostra Storia e nella nostra cultura perché anche un pubblico internazionale ne apprezzasse tutte le sfumature, ma a noi basta sapere che la vitalità di questo genere e di questi racconti non è ancora andata perduta del tutto. Anzi, possono dare qualcosa in più ancora oggi, nonostante i nostri gusti ne sembrino lontani anni luce.
- VIDEO | Giorgio Tirabassi e Valerio Mastandrea raccontano Il Pataffio
- VIDEO | Francesco Lagi, Viviana Cangiano e Lino Musella raccontano Il Pataffio
- PREVIEW | Il Pataffio, il Medioevo e l’altro mondo di Luigi Malerba
Qui il trailer de Il Pataffio:
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