MILANO – Il dito medio di Johnny Cash e gli Stones. Miles Davis e San Francisco. L’America degli anni Sessanta e la rivoluzione hippy. E ancora, Dylan, Hendrix e Woodstock, il flower power e Manhattan, il jazz e le contestazioni. Dove succedeva qualcosa lui c’era. Sempre. Era lì, dietro le quinte della storia, a scattare, a inquadrare, a capire. Attenzione però: Jim Marshall non era un semplice fotografo, era molto di più. Ribelle, anticonformista, autore, non a caso il solo ad avere accesso al backstage dell’ultimo concerto dei Beatles, il 29 agosto 1966 a San Francisco, la fine di un’era, l’inizio di un’altra. Infine un documentario, Show Me The Picture: The Story of Jim Marshall, in streaming su Prime Video, che cerca di raccontarlo.

Un documentario che è anche un viaggio nella (contro)cultura di un Paese, sulle tracce di un ragazzo che cominciò a scattare alla fine degli anni Cinquanta, entrando nel giro dei jazz club della West Coast finendo quasi accidentalmente per seguire la registrazione di My Favorite Things di John Coltrane e imbattendosi poi in uno smunto cantante del Minnesota: Bob Dylan. Da lì l’ascesa di Marshall sarà irresistibile tanto che poi nel 1972 – inviato di Life – finirà in tour con i Rolling Stones. «Ma quando fotografo le persone non mi piace dare indicazioni», riflette Marshall in un passaggio del documentario, «Non ci sono parrucchieri né trucco. Sono come un giornalista, solo che uso una macchina fotografica; interagisco coi miei soggetti nel loro habitat, e se va bene, mi immergo a tal punto nella situazione da diventare una cosa unica con la mia macchina».

Giornalista, fotografo, antropologo, sociologo, pazzo, in preda agli eccessi, folle e geniale: Marshall – scomparso nel 2010 a 74 anni – in Show Me The Picture emerge in tutta la sua unicità, quasi un personaggio da film di Cameron Crowe, imprevedibile e irregolare. Diretto da Alfred George Bailey, il documentario mette in fila le testimonianze di chi c’era e lo vide all’opera, da Graham Nash a Peter Frampton, raccontando anche un’epoca in cui tutto era possibile e la fotografia, non omologata, mai omologata, aveva un ruolo fondamentale. Un mito, quello di Marshall, talmente grande, che a un certo punto di Show Me The Picture si ascolta anche un aneddoto molto particolare.

«Ricordate il fotografo interpretato da Dennis Hopper in Apocalypse Now?», chiede in camera uno degli intervistati, «bene, era ispirato proprio a Jim. Probabilmente Dennis lo vide fatto di acido durante uno dei concerti a Monterey nel 1967 e se lo ricordò poi sul set del film di Coppola». Un altro tassello per alimentare il mito di un uomo che, in realtà, non aveva bisogno di mito, era molto meglio del suo mito. Marshall morì undici anni fa – il 24 marzo 2010 – a New York, al W Hotel su Lexington Avenue, nel sonno e l’uscita italiana di Show Me The Picture è uno dei (molti) modi in cui si può recuperare l’opera di un artista che seppe immortalare un’intera epoca. Non perdetelo.
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