MILANO – Nel momento in cui paranoia e panico cominciano a mescolarsi ed è la paura a diffondersi molto più velocemente del virus, uno dei film più visti e googlati delle ultime settimane – non a caso – è diventato Contagion, thriller diretto da Steven Soderbergh nel 2011 che, improvvisamente, è tornato prepotentemente d’attualità. Perché? Molto semplice, perché racconta di Beth Emhoff, una donna (interpretata da Gwyneth Paltrow) che di ritorno da un viaggio d’affari da Hong Kong inizia a accusare un malore. Il marito (Matt Damon) la porta immediatamente in ospedale, ma è già troppo tardi perché il virus – denominato MEV 1 – nel giro di poche ore la ucciderà, dando inizio a una psicosi collettiva.

Le premesse sono ovviamente diverse – il Coronavirus ha un tasso di letalità basso, anche se sta crescendo sempre più e ormai è una pandemia – ma in Contagion l’obbiettivo di Soderbergh e del suo sceneggiatore Scott Z. Burns era un altro: in una società ormai globalizzata e totale come quella in cui viviamo come si gestisce la paura? Come si frena il flusso delle genti? Come si previene la paranoia? Nel film c’è anche un blogger complottista, interpretato da Jude Law, che si accorda con un’azienda per dimostrare che un farmaco omeopatico può salvare tutti dal MEV 1. Ovviamente non sarà così. Non solo: una volta trovato il vaccino del virus, parte dell’opinione pubblica si schiererà contro la somministrazione forzata dello stesso.

Insomma, tra pazienti zero e fact checking, tra pippistrelli cinesi (sì, ci sono anche quelli) e teorie del complotto, in Contagion si trovano incredibilmente molti rimandi a quello che sta accadendo, a dimostrazione che il cinema da sempre legge e riesce ad anticipare a modo suo la realtà. In particolare però Soderbergh riflette su un altro tipo di virus: la paura. Cosa succede se le informazioni cominciano a circolare senza controllo? Cosa accade se la popolazione non riesce a gestire la mole di informazioni che arriva tramite i media? E come si argina la paranoia in un’epoca in cui si comunica ventiquattro ore al giorno?

Tante domande, poche risposte, ovviamente è solo un film, ma alla fine sembra essere tutto nella frase che dice a un certo punto il dottore illuminato Laurence Fishburn: «Per ammalarsi, si deve entrare in contatto con una persona malata. Per spaventarsi basta entrare in contatto con la televisione o con internet…». Una provocazione forse, ma anche uno spunto di riflessione affatto banale nel momento storico che stiamo attraversando in cui tutti si preoccupano solo nel momento in cui il virus tocca direttamente la loro vita.
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