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Tra nostalgia e risate | Ecco perché dovreste riscoprire Pokémon: Detective Pikachu

Cercate il film ideale per trascorrere una bella serata in famiglia? Bene, lo avete trovato…

ROMA – Un inizio tipico dei film d’avventura che si gustavano in VHS, tra pizza da asporto e Coca-Cola. Atmosfera da classico noir in bianco e nero, come le vecchie pellicole che passavano in notturna. Una miriade di frasi e trovate narrative capaci di (re)mixare Inception, Il Grande Sonno e Resident Evil. E un protagonista – assoluto – icona di uno dei fenomeni pop più influenti e degli ultimi vent’anni. In poche parole, Pokémon: Detective Pikachu – basato sull’omonimo videogioco Nintendo, disponibile ora su CHILI – non è solo uno spettacolo sorprendente e bizzarro, ma ha pure il merito di essere, nella sua semplicità da film per tutti, un’opera capace di farci riscoprire, senza vergogna, le passioni del nostro passato.

Pika Pika

Perché non è un caso che il coprotagonista Tim Goodman non voglia avere a che fare con i Pokémon. Pur avendo ancora la cameretta rimasta come quando era adolescente, con i poster, i ricordi e le mitiche carte da gioco sul tavolo. Ma andiamo con ordine, del resto di meraviglie, nel mistero fitto e ingarbugliato che segue la sceneggiatura di Nicole Perlman e Rob Letterman (anche regista), ne è pieno il film, anche se tutte confluiscono verso un rompicapo facile (ma divertente) da decostruire. A cominciare dal detective in questione. Poco importa se è piccolo, giallo e paffuto, beve caffè nero bollente come ogni detective che si rispetti. Pigro, svogliato ma caustico e arguto.

Tim alias Justice Smith e Pikachu.

Pikachu segue gli indizi e mette insieme i pezzi, pure se non si ricorda bene cosa è successo dopo l’incidente che ha fatto sparire nel nulla il suo partner, Harry Goodman, investigatore privato di Ryme City, megalopoli a metà strada tra Londra, Tokyo e New York, dove i Pokémon e gli umani vivono in simbiosi. Niente allenamenti, niente gare, niente battaglie. Dunque, avvertito della scomparsa, a Ryme arriva Tim (Justice Smith), figlio di Harry, che non lo hai mai voluto seguire tra quei grattacieli alla Blade Runner. Comincia così il buddy-movie in cui Tim e Pika fanno squadra, arrampicandosi verso la soluzione finale a colpi di risate e occhi dolci. La coppia funzione e funziona la regia scalmanata di Letterman.

Kathryn Newton, Psyduck, Pikachu e Justice Smith nel film.

Come fosse un videogame retrò tirato fuori dal cassetto, Pokémon: Detective Pikachu ci fa tornare a respirare l’aria incantata e limpida di pomeriggi passati a giocare a Pokémon Red o Blue, a caccia dell’evoluzione più rara di tutte. E qui c’è proprio il concetto di evoluzione come crescita e miglioramento, lasciando addosso una sensazione di beatitudine per aver vinto l’ennesima battaglia al fianco del tuo Charizard o del tuo Squirtle, del tuo Bulbasaur o del tuo Psyduck (senza dubbio il più spassoso di tutto il film). Ma, tra risate di pancia, si sottolinea pure la differenza fondamentale tra il saper sentire e il saper ascoltare.

Il detective Pikachu e il suo caffè…

Letterman rielabora il film mezzo cartoon mezzo live-action, citando (e ammirando) le battute scorrette e l’atmosfera da macrocosmo impossibile di un cult assoluto: Chi Ha Incastrato Roger Rabbit. E no, non nessuna esagerazione, perché Pikachu incontra la realtà come il coniglio di Robert Zemeckis, in un frullato di sarcasmo e ironia (a volte deliziosamente scorretta). Ed è bello, perché sotto la cornice di Ryme City, tra sirene e buffi esserini di tutti i colori, c’è l’abbraccio tra due mondi e due epoche: quella dei fratelli più grandi e quella dei più piccoli. Come quando, finito il livello, ci si passava il Game Boy consumato. E allora avanti con un’altra partita e, soprattutto, con un’altra indimenticabile emozione.

  • Qui il trailer di Detective Pikachu:

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