Capita di rado che un regista europeo arrivi a Hollywood e riesca a rimanere fedele al suo stile e alla sua idea di cinema: Jacques Audiard ci è riuscito con The Sisters Brothers, vincitore del Leone d’argento per la miglior regia all’ultima Mostra di Venezia e omaggio western in grado di ribaltare gli archetipi del genere mantenendo però lo stesso respiro classico ed epico. Non è la prima volta che l’autore parigino, figlio dello scrittore, sceneggiatore e regista Michel, capovolge prospettive e luoghi comuni, sforma canovacci e costruisce personaggi irregolari che si distaccano dalle più ovvie caratterizzazioni.

Il suo terzo film, nonché il primo distribuito in Italia, Sulle mie labbra (2001) è un noir sentimentale atipico, dove un ladruncolo appena uscito di prigione (uno straordinario Vincent Cassel) e una sorda e frustrata segretaria (Emmanuelle Devos) consolidano una simpatia reciproca che li porta a derubare un pericoloso gangster: due emarginati che si servono delle rispettive debolezze (il passato criminale per lui, l’handicap fisico per lei) per riscattare le proprie esistenze. La capacità di leggere le labbra della protagonista è il punto di forza di una coppia composta da individui caratterialmente lontani, ma che trovano un’area comune d’intesa nelle loro confinanti solitudini. Niente erotismo, né pose maledette: soltanto una regia che non concede tregua, capace di trasmettere l’affanno e l’inquietudine dei personaggi.

Arriva dopo quattro anni il primo capolavoro del regista, Tutti i battiti del mio cuore (2005), vincitore del premio César per miglior film: un nervoso, irrequieto, magnifico Romain Duris è un ex pianista trentenne che subentra al ruolo del padre per gestire un losco giro di affari immobiliari. La criminalità è lo sfondo, un pretesto per ritrarre le inquietudini di un personaggio combattuto tra fascino per l’arte e per la delinquenza, rabbia esplosiva e desiderio di affetto, in costante e perenne tensione emotiva che gli consente di sopravvivere all’interno di un mondo violento, spigoloso e senza riferimenti. Audiard sintetizza magistralmente la sua poetica del ribaltamento, quando il protagonista realizza che ora dovrà essere lui a prendersi cura del padre, nonostante il sentimento controverso nei suoi confronti.

Il profeta (2009), Grand Prix al Festival di Cannes, è probabilmente l’opera più celebre del regista, che nuovamente inverte le regole del genere, in questo caso il prison movie: il diciannovenne Malik (Tahar Rahim) entra in carcere da analfabeta, senza contatti, ma presto intuisce che per evitare di soccombere deve stare alle regole dei più forti, abbracciando una completa educazione all’illegalità e alla malavita. Il protagonista diventa uomo in carcere, applicandosi, studiando, imparando a relazionarsi con i meccanismi del potere e a delinquere: un autentico racconto di formazione, dove si rimane in piedi soltanto grazie alla scelta di non sfuggire all’inevitabilità dello scontro e del sangue. Crudo e allergico ai moralismi, Audiard è però sempre attento al fattore umano: il percorso criminale di Malik è vissuto come una graduale presa di consapevolezza di sé.

Il terzo capolavoro di fila è Un sapore di ruggine e ossa (2012), il vero melodramma “alla Audiard”: niente romanticismi e sentimentalismi, ma un inno al corpo e alla necessità di aiuto reciproco tra due persone che attraversano dolori e fallimenti. Forse è il film più hollywoodiano del regista, al servizio della performance di una dolente e meravigliosa Marion Cotillard, ma è anche il più passionale e travolgente, rimanendo comunque sempre distante da soluzioni ricattatorie e retoriche. Come in Sulle mie labbra, è l’incontro di un uomo e una donna di carattere e passato molto lontani, ma che insieme ricostruiscono una vita partendo dalle rispettive macerie.

Dheepan (2015) ottiene la Palma d’oro al Festival di Cannes, e per molti è un risarcimento tardivo a seguito del mancato riconoscimento al film precedente: ciononostante, il punto di vista sul tema dell’immigrazione è certamente inedito. Il protagonista è una tigre Tamil che fugge dallo Sri Lanka per fingere di essere un buon padre di famiglia e trovare un lavoro come custode nella periferia di Parigi, dove finirà nel mezzo di una guerra tra gang rivali. Ed è ancora l’occasione per un punto di vista non convenzionale da parte di Audiard: quell’abitudine alla violenza che Dheepan pensava di dover abbandonare per trovare posto nella società occidentale, sarà invece una fondamentale risorsa per fronteggiare le bande e rispondere al sangue con il sangue. E per costruire, inaspettatamente, una nuova famiglia.
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- Qui potete vedere il trailer di The Sisters Brothers:
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