ROMA – «Questo programma è un’opera di finzione e non è basato sull’attuale pandemia o gli eventi correlati». Disclaimer non fu mai più azzeccato. Dovevano partire nel 2014 le riprese del remake americano di Utopia, la serie di Channel 4 ideata da Dennis Kelly. Alla regia un certo David Fincher e alla sceneggiatura Gillian Flynn – sì, la stessa di Sharp Objects – con la quale il regista aveva appena lavorato in Gone Girl. Ma una controversia economica tra la HBO e Fincher fece saltare l’accordo. Sei anni e una pandemia dopo la versione americana di Utopia è stata realizzata da Prime Video con la Flynn in veste di showrunner. Ma perché il discailmer, direte voi?
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Molto semplice. La trama ruota attorno al ritrovamento di Utopia, un fumetto – sequel di Dystopia – incentrato sulla misteriosa figura di Mr. Rabbit e Jessica Hyde, ragazza tenuta prigioniera e figlia di un brillante scienziato costretto a creare virus mortali in laboratorio per scongiurare la sua morte. Peccato che la storia contenuta in quelle strisce sia reale e che i quattro ignari ossessionati della graphic novel – Becky (Ashleigh LaThrop), Ackerman (Dan Byrd), Wilson (Desmin Borges) e Samantha (Jessica Rothe) – finiscano nel mirino di un’organizzazione segreta che vuole impossessarsi dell’unica copia di Utopia e catturare Jessica Hyde che, il caso vuole, ha il loro stesso obiettivo. Ah, il tutto mentre in America si sta diffondendo un virus mortale, nato da dei pipistrelli in Perù, che potrebbe essere stato predetto nella graphic novel…
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Qualcosa di vagamente familiare, vero? Così Utopia diventa a pieno di titolo uno di quegli show capaci di parlare del nostro presente più di quanto la Flynn, che iniziò a scrivere la sceneggiatura sette anni fa, avesse mai immaginato. Finita di montare in pieno lockdown, Utopia però non è solo uno show che ruota attorno a una pandemia. Intrisa di black humor, la serie parla dell’importanza della verità in un mondo in cui chi ne ha i mezzi agisce per il proprio tornaconto. Volutamente diversa nella resa visiva dall’originale inglese, Utopia lascia da parte il Technicolor e sfrutta una palette di colori più cupi per mostrarci un’America in cui il potere delle società private è tentacolare – tra case farmaceutiche che producono carne in laboratorio e corsa ai vaccini- e l’opinione pubblica è facilmente manipolabile grazie ai media e ai social.
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Nell’adattare Utopia di Dennis Kelly, Gillian Flynn quindi prende alcuni temi già affrontati dalla serie del 2013 e ne introduce di nuovi più ancorati alla società statunitense. Il risultato è una serie che si muove tra il thriller cospirazionista e una metafora dei nostri giorni, tra disboscamenti, incendi e scioglimento dei ghiacciai, il tutto accompagnato da una scia di sangue che dal primo episodio si trascina fino al finale di stagione. Dall’animo dark pop e pulp, Utopia mette poi al centro l’amicizia tra i suoi variegati protagonisti, ieri nerd separati dallo schermo di un pc, oggi gruppo di eroi sui generis che provano a salvare il mondo. Nell’adattare Utopia di Dennis Kelly, Gillian Flynn quindi prende alcuni temi già affrontati dalla serie del 2013 e ne introduce di nuovi più ancorati alla società statunitense.

Il risultato è una serie che si muove tra il thriller cospirazionista e una metafora dei nostri giorni, tra disboscamenti, incendi e scioglimento dei ghiacciai, il tutto accompagnato da una scia di sangue che dal primo episodio si trascina fino al finale di stagione. Dall’animo dark pop e pulp, Utopia mette poi al centro l’amicizia tra i suoi variegati protagonisti, ieri nerd separati dallo schermo di un pc, oggi gruppo di eroi sui generis che provano a salvare il mondo. Una serie riuscita a metà. Perché se è vero che nulla stoni nella narrazione, è anche vero che – senza riferirci alla pandemia – molto di quello a cui assistiamo ci sembra familiare, tra cattivi senza scrupoli, cospirazioni e un gruppo di emarginati che ha nelle mani il destino dell’umanità.
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Qui potete vedere il trailer di Utopia:
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