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Tra storia, attualità e horror | Il nostro viaggio in Canada sul set di The Terror: Infamy

Hot Corn è volato a Vancouver per una visita sul set della seconda stagione della serie Prime Video

Sul set di The Terror: Infamy

VANCOUVER – Ci sono case meravigliose d’inizio secolo nella zona residenziale di Vancouver dove girano The Terror: Infamy, seconda stagione della serie sospesa tra dramma storico e horror (dal 16 agosto su Amazon Prime Video). The Hot Corn dribbla le telecamere sparse in ogni angolo, attraversa una stanza allestita a ospedale e un’altra con un grande tavolo in cui bambini in abiti da scena ammazzano i tempi d’attesa con i video giochi, e sale al secondo piano, dove può spiare le riprese nei monitor, senza intralciare. Ciak! Un’infermiera si prende cura di un soldato: una, due take, buona la quarta.

Una delle sale sul set di The Terror: Infamy. Foto di Chiara Meattelli

È l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e le vicende di Infamy raccontano un pezzo di storia poco conosciuto: l’internamento dei nippo-americani nei campi di prigionia per mano del governo statunitense dopo l’attacco di Pearl Harbour. Un fenomeno che dal 1942 al 1945, ha coinvolto oltre 145.000 americani e canadesi di origine giapponese. «Da un giorno all’altro ci guardarono con sospetto solo per il nostro aspetto fisico, eppure eravamo americani: io, mia sorella, i miei genitori, eravamo tutti nati in California e vivevamo a Los Angeles» racconta George Takei, attore e consulente dello show. Famoso nei panni del Signor Hulu nella serie originale di Star Trek, Takei è un 82enne dalla mente brillante e la battuta pronta, nonché un reduce dai campi d’internamento dove da bambino ha vissuto per 4 anni insieme alla famiglia.

Una delle location di The Terror: Infamy. Foto di Chiara Meattelli

Ora è un attivista, per i diritti LGBT, per i diritti degli immigrati e per aumentare la consapevolezza su questo capitolo oscuro della storia americana. «Iniziarono imponendoci un coprifuoco la sera» ricorda Takei «poi ci bloccarono i conti in banca e arrestarono chiunque promulgasse la cultura giapponese, inclusi i presidenti del Bonsai Club, i praticanti di arti marziali e i preti buddisti». Pochi mesi dopo Pearl Harbour, gli americani di origine nipponica vennero assegnati in campi di prigionia sparsi in tutto il paese. «Uno dei punti che cerchiamo di rendere chiaro» ci spiega Alexander Woo, lo showrunner «è che loro erano e si sentivano americani sotto ogni aspetto. Chester, il nostro protagonista (interpretato da Derek Mio, NdR), non aveva dubbi sulla sua nazionalità finché il suo stesso governo non gli ha detto il contrario».

Sul set di The Terror: Infamy. Foto di Chiara Meattelli

L’aiuto di Takei per la realizzazione dello show è stato prezioso, come spiega Woo: «I fatti storici si possono sempre scoprire con la ricerca, ma lui ci ha consentito di aggiungere molti dettagli di natura personale. Ci ha descritto i sentimenti, la sensazione di vuoto che provavano; fossero anche fuggiti dai confini delimitati col filo spinato, avrebbero trovato un paese che non li voleva e dove per loro era illegale vivere»Suona familiare? Il monito di Infamy è in linea perfetta con la conversazione sugli immigrati che oggi si affronta nell’America di Trump (e nell’Italia di Salvini). «Credo sia un’associazione molto semplice da fare per uno spettatore dello show: oggi sono tempi spaventosi per gli immigrati negli USA» ammette Woo.

L’interno di una delle stanze di prigionia ricreate per la serie. Foto di Chiara Meattelli

Se la saga The Terror include elementi soprannaturali, questi si fondono in maniera organica con la storia di Infamy secondo Takei, che ricorda il grande stress a cui i prigionieri erano sottoposti e di come fosse facile per loro credere a demoni e fantasmi, per non parlare dei numerosi suicidi che avvenivano nei campi. E secondo lo showrunnner, l’elemento soprannaturale, paradossalmente rende ancora più reale l’associazione con gli eventi contemporanei; il vocabolario del genere horror è dunque usato come un’analogia per il vero terrore che l’esperienza dell’internamento ha generato nelle sue vittime.

Sul set di The Terror: Infamy. Foto di Chiara Meattelli

«Un film horror spaventa l’audience e questo volevamo fare: raccontare la storia da un punto di vista soggettivo e non da lontano, con un docu-drama, come se appartenesse solo al passato». Così si sono ispirati ai classici dell’horror giapponese ma anche a quelli contemporanei, come The Ring e Dark Water. «Eravamo più interessati al terrore psicologico rispetto a quello grafico anche se ci sono episodi piuttosto violenti» spiega Woo. Dopo la pausa pranzo, ci portano a visitare la zona fuori città dove è stato ricostruito nei dettagli più minuziosi un campo di prigionia. Sembra tutto così vero, come solo la magia del set riesce ad essere. Anche se stavolta è una magia che fa davvero paura.

Qui potete vedere il trailer di The Terror: Infamy:

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