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Boris 4 | Algoritmi e risate: la serie cult per eccellenza continua a spiegarci la vita

Dopo aver rotto gli schemi del cinema italiano, Boris rompe gli algoritmi. Otto puntate su Disney+

Tutti, ma proprio tutti i protagonisti di Boris 4
Tutti, ma proprio tutti i protagonisti di Boris 4

ROMA – In questi dodici anni di assenza (era il 2011 quando uscì il capitolo cinematografico), la rivoluzione è stata portata avanti dalle nuove generazioni, che hanno ereditato un modo di parlare e un modo di pensare unico nel suo genere e unico nel nostro panorama. Un moto ondoso che ha sbaragliato le regole impostate di una serialità italiana costruita sulla staticità di un pubblico da rete di Stato, nonché sfamato da un modo di fare fiction mai del tutto superato. Da questo spunto, la libertà narrativa di un trio capace di guardare davvero oltre: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo. Il resto, appunto, è storia: neologismi, frasi (s)cult, tormentoni e un modo di guardare alla vita – letteralmente – a “c*zzo di cane”. Perché, come ogni rivoluzione che si rispetti – e che valga la pena essere appoggiata – l’obiettivo era creare un caos lucido da cui ripartire, sconquassando le regole per riscriverne altre. Poco importa se qualcuno si è sentito offeso, poco importa se qualcuno si è sentito tirato in causa: che piaccia o no, esiste un cinema italiano prima e dopo René Ferretti. Ed esiste un modo di essere (molto) italiano prima e dopo Boris.

Concludendo questo lungo preambolo, quasi obbligato vista la spasmodica attesa, rispondiamo alla domanda che vi sarete fatti: com’è Boris 4? è… Boris. Semplicemente, Boris. Anzi, potremmo dire che questi anni, stracolmi di impulsi e di emozioni, hanno permesso agli autori di poter attingere ad una quantità infinita di materiale, applicandolo poi alla narrativa originale della serie. Un cortocircuito pazzesco, che fa esplodere di comicità e di poesia una quarta stagione dai mille risvolti e dalle mille sfumature. Se l’unica produzione che poteva ereditare un marchio del genere era quella di The Apartment di Lorenzo Mieli (disinteressato ma sentito endorsement: non c’è nessuno in Italia meglio di loro), probabilmente l’unica piattaforma su cui poterla lanciare era proprio Disney+, attenta a mantenere alte le aspettative di un pubblico che, per anni, è stato aggrappato al sogno di rivedere in azione una banda di improbabili eroi.

Ma se parliamo di rivoluzione e di cortocircuito, allora ecco la sfida nella sfida: superare il concetto di broadcast e affrontare quell’algoritmo che, oggi, domina le nostre scelte. E non solo in ambito televisivo. Insomma, Gli Occhi del Cuore costruito seguendo calcoli matematici, sponsor e regole inclusive e comportamentali che, ci dice Boris, cozzano con una verità marcatamente diversa. Perché Boris 4, nonostante sia rilasciata da una piattaforma streaming (otto puntate, subito disponibili) si prende gioco di quel mondo effimero fatto di inutili frasi fatte e di “briefing”, di “call”, di “lock”, di “amazing”, di “pitch” e di tutti quei paroloni anglosassoni di cui si riempiono la bocca manager e direttori senza arte né parte, che poi finiscono per rivolgersi allo “zio Michele” di turno per sbrogliare difficoltà produttive e costi esorbitanti.

Ancora una volta, e prendendo come scusa la realizzazione di una serie decisamente ambiziosa come Vita di Gesù, Boris è la parafrasi esatta di come gira la giostra dell’industria audiovisiva, e di come gli stessi approcci lavorativi siano perfettamente calzanti ad un modello universale che comprende ogni aspetto della vita. Tutto è cambiato ma nulla è cambiato, in fondo: la tv generalista e buonista è (forse) superata, Stanis e Corinna si sono sposati e sono diventati producer, mentre René, Arianna e gli altri lavorano per una piattaforma che insegue (appunto) l’algoritmo, confinando la stessa qualità dietro leggi comportamentali e decaloghi basati sull’uguaglianza e sull’identità. Leggi puntualmente tradite da chi le scrive, che influenzano la scrittura di Ciarrapico e Vendruscolo, graffiando quei nuovi “padroni” che appaiono fugacemente via Zoom.

Senza paura di osare, senza filtri e senza compromessi, Boris 4, dalla scrittura gagliarda e dal ritmo esplosivo, non rinuncia ai suoi canoni prestabiliti ma, intanto, fa a botte con un presente che ci ha reso sempre più disillusi, che ha spento la nostra voglia di essere sorpresi. Tra parolacce e nuovi arrivi, tra vecchi protagonisti e assordanti assenze (la quarta stagione è dedicata alla memoria di Mattia Torre, che viene omaggiato nel personaggio di Valerio Aprea, oltre che alla Itala di Roberta Fiorentini, scomparsa nel 2019), la quarta stagione ci piega in due dalle risate ma, intanto, ci mostra quanto siamo diventati ormai simili a René, a Lopez, a Sergio, ad Arianna, a Stanis, ai tre sceneggiatori cialtroni, ad Alessandro, a Biascica, a Corinna, a Duccio: costantemente fuori tempo e fuori posto, gettati in un presente che corre troppo veloce e divora tutto. Aspettative, lavoro, rapporti sociali. Il budget che si assottiglia mentre il conto in banca di qualcun altro continua ad ingrossarsi. Del resto, dal 2007 in poi il mondo di Boris è diventato parte della nostra vita, e ora la nostra vita è diventata una puntata di Boris. Ci sarebbe da ridere, se non fosse lo specchio di una feroce e spaventata realtà.

Le interviste dal red carpet della Festa del Cinema sono di Manuela Santacatterina:

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