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Rapiniamo il Duce | La Seconda Guerra Mondiale e l’heist movie pop di Renato De Maria

Il regista guarda a Tarantino e segue la strada del genere (ri)aperta da Mainetti. Su Netflix

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La banda di Rapiniamo il Duce

ROMA – Milano, aprile 1945. La città, ormai in macerie, brucia sotto i bombardamenti, la Resistenza e gli alleati ango-americani stanno per spazzare definitivamente via i rimasugli di un regime fascista ormai pronto alla fuga e l’unica cosa a cui puntano tutti è sopravvivere. Lo sa bene Isola (Pietro Castellitto), contrabbandiere del mercato nero, che cerca con i suoi compagni, Marcello (Tommaso Ragno) e Amedeo (Luigi Fedele), di tenere salva la pelle mentre vendono armi ai partigiani. Lo sa anche la sua fidanzata Yvonne (Matilda De Angelis), cantante del Cabiria, costretta a sopportare le attenzioni di Borsalino (Filippo Timi), gerarca fascista pronto a fuggire in Svizzera con l’oro di Mussolini in caso di sconfitta del regime. Lo stesso oro che Isola si è messo in testa di rubare per dare una svolta alla sua vita e perché poi, da ladro, è l’unica cosa che gli riesce bene. Parte da qui Rapiniamo il Duce di Renato De Maria, heist movie targato Netflix diviso tra ucronia e commedia fanta-storica.

Pietro Castellitto è Isola. Fototo di Sara Petraglia/Netflix ©

Quello di Renato De Maria è un cinema da sempre attento ai dettagli, alla messa in scena ma anche a creare dei cortocircuiti. Ne sono un esempio le canzoni scelte per accompagnare dei momenti chiave del film: Se bruciasse la città di Massimo Ranieri, Tutto Nero di Caterina Caselli e una versione riarrangiata e interpretata dalla De Angelis di Amandoti di Gianna Nannini. Tre brani che danno anche un’idea del tono del film, diviso tra la ricostruzione storica e la volontà di giocare con i generi e le regole. Rapiniamo il Duce li mescola e dosa a suo piacimento e, come aveva già fatto Freaks Out prima di lui, mostra che si può raccontare una pagina nera della nostra Storia, il fascismo, con dei toni diversi che si allontanano dalla ricostruzione quasi documentaristica degli orrori commessi e che assumono contorni fumettistici.

Rapiniamo il Duce
La banda di Rapiniamo il Duce. Foto di Sara Petraglia/Netflix © 2022

Questo non è un demerito, anzi. Così facendo si può addirittura calcare la mano – basti pensare al personaggio di Timi – e prendersene gioco (lo aveva già fatto Tarantino in Bastardi Senza Gloria). Ma Rapiniamo il Duce ha il suo tallone d’Achille nella sceneggiatura un po’ sottotono, appesantita da troppi dialoghi che spiegano cosa è successo o cosa sta per succedere e che non affonda mai davvero nella scrittura dei personaggi che rischiano così di rimanere in superficie e impedire quel trasporto emotivo necessario per il pubblico. Menzione speciale per Isabella Ferrari e la sua Nora Cavalieri, attrice sul viale del tramonto che ricorda proprio la Norma Desmond del film di Billy Wilder che De Maria ha modellato partendo da attrici realmente esistite come Clara Calamai e Marlene Dietrich. Un ruolo diverso, (auto)ironico, spietato.

  • INTERVISTE | Renato De Maria e Pietro Castellitto raccontano il film

La video intervista per Rapiniamo il Duce è a cura di Manuela Santacatterina:

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