Recensione Coco, ovvero il film politico del 2017

Finalmente nelle sale è arrivato Coco, il tanto atteso titolo Pixar 2017, uscito con alcune settimane di ritardo rispetto all’inizio delle festività natalizie, per non pestarsi i piedi con Star Wars: scelta commerciala di Topolino e soci.

Dicevamo, arriva Coco… ed è subito una grande festa!

Ambientato in un Messico delle favole, racconta la storia di Miguel Rivera, un ragazzino che, deciso a diventate musicista nonostante l’opposizione di tre generazioni di parenti, finisce per inseguire il suo sogno nell’aldilà dove si ritrova a mettere a posto incomprensioni famigliari di vecchia data e vicende di cronaca nera. La trama riserva alcune sterzate lungo il percorso tali da far risultare il film più coinvolgente di tanti titoli “per adulti” di questo Natale. Il mondo dei morti e i suoi personaggi sono una gioia per gli occhi: favoleschi, coloratissimi e psichedelici, un mondo di luci e di idee che è una via di mezzo tra un quadro di Ligabue e un acid test dei Greatful Dead, con musica e ritmo ovunque. Si esce dalla sala con i sensi appagati, come dopo una scorpacciata del nostro piatto preferito dalla mamma.

Ma il punto di forza di Coco è nei suoi messaggi. È un film che parla dell’importanza della famiglia e della memoria dei propri cari come forza potente che lega i vivi ai morti. Lo fa con una visione coraggiosa, offrendo un “primo aldilà” rassicurante senza aver bisogno di coinvolgere Dio e la religione. C’è poi la forza delle proprie idee, la determinazione nel perseguirle tipiche del sogno americano e il conflitto famigliare, talvolta necessario pur di tenere accesa la fiamma della propria vocazione. Si legge tra le righe anche un messaggio di vicinanza verso una comunità, quella messicana, che oggi l’America di Trump mette sotto accusa e che in Coco si fa portatrice, attraverso le sue tradizioni, di valori sani sulla famiglia e sul ruolo delle persone anziane. Ci vuole coraggio di questi tempi per un’azienda americana ad andare oltre la religione e la cultura dominante dei bianchi anglosassoni. Tutto questo in un cartone animato? Sissignore, perchè Coco a suo modo è un film politico. È come se si uscisse dalla sala contenti per la bellezza estetica e solo dopo ci si rendesse conto che, dietro la leggerezza e i sorrisi, il film svolge il compito più profondo di innestare nella nostra testa messaggi, come semi. D’altronde Pixar aveva già dimostrato di puntare sulla centralità e profondità dei contenuti nei propri progetti, con Inside Out e prima ancora con Up, quando era riuscita nel non semplice intento di far piangere di commozione il mondo intero con un paio di minuti scarsi di film.

Insomma, Disney sa che il valore del suo marchio, oggi forse più di ieri, non è solo legato alla “magia” ma anche ai valori che i suoi prodotti hanno il compito di trasmettere universalmente. Pixar si conferma insieme punta di diamante commerciale e braccio politico “liberal e democratico” della Company di Burbank.

E poi questo giovane Miguel Rivera è proprio forte e piace a tutti… stai a vedere che finirà per candidarsi come Presidente degli Stati Uniti.

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