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Western e politica | La Revolución Mexicana secondo Volonté e ¿Quién Sabe?

Gian Maria Volonté, il Messico e il socialismo: perché rivedere il cult di Damiano Damiani?

MILANO – Sebbene i primi western italiani risalgano agli Anni ’40 e ’50 (La signora dell’Ovest è del 1941), è nel cuore degli Anni ’60 che il genere esplode con l’appellativo di spaghetti western, soprattutto grazie a Sergio Leone a alla Trilogia del dollaro, ma anche per merito di Sergio Corbucci e del suo Django (1966), interpretato da Franco Nero. Quién Sabe? (lo trovate su CHILI) rientra in questo filone italiano, oltre che per l’ovvia nazionalità del regista, Damiano Damiani, anche per una serie di elementi strutturali, quali l’assenza della controparte indiana, il motore che spinge le azioni dei personaggi (difficilmente ravvisabile nell’onore o nei valori morali del western classico, quanto piuttosto nel danaro o in meccanismi di potere) e per la connotazione dei protagonisti, raramente sceriffi o uomini d’ordine, ben più volentieri outsider, banditi o comunque uomini privi delle caratteristiche insite nel concetto di eroe come l’altruismo, l’idealismo, il coraggio e la nobiltà d’animo.

Lou Castel e Gian Maria Volontè in una scena del film.

Ma su questo film di Damiani c’è qualcosa in più da dire, perché inaugura un sotto-genere dello spaghetti western, quello che verrà poi definito western revolucion. Il gioco è tanto semplice quanto interessante, sia dal un punto di vista cinematografico, sia da quello politico: siamo nell’Italia pre-sessantottina, in cui i giovani acculturati e gli intellettuali, sull’onda della Rivoluzione Cubana terminata nel ’59, iniziano ad avere un occhio critico nei confronti della gestione degli affari esteri del Governo statunitense, specie nei confronti del loro ‘giardino di casa’, il Sudamerica. Ed è in questo contesto che le categorie del western classico vengono completamente ribaltate e usate contro quello stesso Paese che le aveva inventate per giustificare la sua propria esistenza.

Volontè è Chuncho in Quién Sabe?

L’ambientazione ideale di questa trasvalutazione non può più (evidentemente) essere il confine occidentale degli Stati Uniti (il west), né quello di un villaggio di pastori o piccoli proprietari a caccia di sedentarietà, bensì è spostata nel Messico, quello della Rivoluzione che tra il 1910 e il 1917  – con lo strascico di una Guerra Civile che durò altri dieci anni – fece tra i novecentomila e il milione di morti. L’interventismo e il collaborazionismo lealista degli statunitensi, nel film, viene incarnato da Bill Tates (el Niño), un killer biondo dai modi eleganti, un gringo ingaggiato dall’esercito regolare messicano per assassinare el General Elias, il leader dei ribelli che nelle sembianze del suo interprete ricorda molto il vero Comandante Pancho Villa (anche se nella realtà fu Francisco Madero ad essere assassinato dai reazionari). Il biondo americano, qui, non rappresenta più la civiltà, ma semmai una società corrotta e imperialista (esemplificata dalla frase «americano americanero, pequenio corazon, mucho dinero») che ha abbandonato gli ideali che vorrebbe alle fondamenta della sua cultura (già propagandati dal western) per venderli sul mercato al miglior offerente.

Bill Tates è el Niño.

Protagonista è, invece, il superlativo Gian Maria Volonté, nel panni del Chuncho, un mezzo bandito allegro, ignorante e opportunista, che sfrutta la situazione – pur avendo nel profondo a cuore la Rivoluzione – assaltando treni e galere con i suoi muchachos per fare il pieno di armi da fuoco da rivendere ai ribelli di Elias, ovviamente in cambio di sonanti monete d’oro. Contro di lui un esercito maledetto, che non fa differenza tra ribelli e banditi e usa la sua forza per difendere uno Stato che non è descritto come un benevolo creatore e difensore dell’ordine, ma come arbitrario e violento oppressore del popolo (e del resto questo fu il trentennale «porfiriato» di Dìaz per la maggioranza dei peones).

Lou Castel e Martine Beswick in una scena del film.

Al fine di avvicinarsi al bersaglio, con un astuto trucchetto, l’americano riuscirà ad unirsi al gruppuscolo guidato dall’ignaro Chunco, di cui fa parte anche il fratello El Santo (un sorprendente Klaus Kinski). Sarà un viaggio pericoloso e avventuroso, avanti e indietro per il Messico tra spari che arrivano da ogni direzione e le spacconerie di un capobranco che si rivelerà tanto spietato sul campo di battaglia, quanto affettuoso e caritatevole dietro le quinte della lotta. Ci sarà spazio anche per una sincera amicizia con el Niño, ma alla fine, quando i nodi verranno al pettine, il protagonista dovrà scontrarsi con la dura realtà e scegliere se farsi conquistare da un monton de dinero e seguire il suo nuovo amico negli USA, oppure se perseguire la causa rivoluzionaria, consegnando se stesso nelle mani di un destino incerto.

La scelta sarà drastica e giungerà improvvisamente, proprio nell’ultima e indimenticabile scena del film; il motivo della decisione? Quién sabe? (chi lo sa?), come a sottolineare che per uomini come lui, pur con i mille difetti emersi nel corso della narrazione, può essere solo il cuore pulsante della passione a guidarne le azioni, un cuore ormai completamente dedito al suo popolo. È la rivoluzione, bellezza.

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