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Un Eroe | Asghar Farhadi e le molte domande nascoste dentro un grande film

L’apparenza, il riscatto, la reputazione nell’Iran contemporaneo. Protagonista un grande Amir Jadidi

Un Eroe
Un primo piano di Amir Jadidi, protagonista di Un Eroe

ROMA – Di debiti e di eroi, di riscatto e di cadute, di prigioni e di reputazione. Dopo Tutti lo Sanno Asghar Farhadi torna a girare in Iran facendo del suo Un Eroe (A Hero) una sorta di summa cinematografica del suo pensiero, tanto sociale quanto cinematografico. Presentato a Cannes, dove ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria, Qahremān, titolo originale, racconta l’epopea di Rahim (Amir Jadidi), in bilico tra il dovere e il potere, tra l’aspettativa e l’onore. Siamo nella Shiraz contemporanea, località nella provincia di Faras, e Rahim è stretto dalla morsa di un debito che non può onorare. La legge, in questo caso, è chiara: essere un cattivo pagatore comporta il carcere. Caso o destino vuole che, durante un permesso, la sua nuova compagna Farkhondeh (Sahar Goldoost) trovi una borsa piena d’oro. Che fare? Tenerla o riconsegnarla?

Amir Jadidi è Rahim
Amir Jadidi è Rahim

Come fosse un vero e proprio McGuffin, la borsa d’oro per Rahim diventa l’appiglio per un riscatto, per una rivalutazione agli occhi di quella società pronta a giudicare, ad accusare. Rahim, inizialmente vorrebbe tenere il tesoro, usarlo per pagare il debito, ma poi l’intuizione: e se restituirlo al legittimo proprietario lo renda, di fatto, un vero e proprio eroe dal cuore nobile? La reputazione sarebbe ripulita, di conseguenza anche le autorità carcerarie potrebbero sfruttare la cosa a loro favore, rimarcando il virtuosismo dei carcerati diventati uomini “nuovi”. Quel virtuosismo, però, viene prontamente stravolto, e Rahim si trova al centro di un dibattito che esplode tanto sui social quanto in famiglia, con le sue aspettative – e quelle di Farkhondeh, l’unica a rimanergli davvero accanto – che (in)aspettatamente vengono capovolte.

Sahar Goldoost è Farkhondeh in Un Eroe
Sahar Goldoost è Farkhondeh in Un Eroe

Dramma sociale e dramma privato, affresco umano, ma anche una lucida disanima su quanto sia tossica l’apparenza, la considerazione da mantenere alta davanti agli altri. Un Eroe di Farhadi non risparmia quasi nessuno (eccezione fatta per Farkhondeh), tratteggiando un’epopea circolare nel quale l’integrità tanto decantata dai personaggi altro non è che dinamite pronta ad esplodere. E il senso del film, acuito dai primi piani del regista, gira proprio attorno al concetto di integrità, di morale. Una scelta sbagliata può diventare una scelta giusta, a costo che non intacchi nessuno, e che tutti ne traggano vantaggio, al netto dalle loro posizione. Rahim in prigione non vuole tornare, ed è gettato in una mischia fatta di regole e di dogmi che, dice il regista, sono architravi di un sistema-paese dai marcati ed esasperati problemi.

Una scena di Un Eroe
Una scena di Un Eroe

Chi è l’eroe del titolo, dunque? Chi è l’uomo senza macchia, pronto ad immolarsi per la causa? Tutti e nessuno. Asghar Farhadi, capace di essere un narratore incredibile oltre che un regista sublime – come dimostra l’ultima inquadratura, che vale l’intera visione –, rimarca il messaggio di Un Eroe facendo prendere al film pieghe inaspettate che viaggiano parallelamente all’umore e alle sensazioni dei personaggi. Come fossero sopra ad un palco spoglio dalla scenografia, Rahim e gli altri sono mossi dalla coscienza e dalla soggettività, anche se il regista non vuole assolutamente entrare nel merito della questione: siamo noi a dover prendere posizione, sempre noi a dover credere o no alle buone intenzione di Rahim. Questa è la potenza del messaggio. Asciutto, conciso e diretto. Come solo il grande cinema sa essere.

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