in

Tropical Malady | Le visioni di Apichatpong Weerasethakul e quella passione di Tarantino

Amato da Tarantino e premiato nel 2004 a Cannes, il film arriva finalmente in streaming su MUBI

Tropical Malady
I due protagonisti di Tropical Malady.

MILANO – Tropical Malady parte da un assunto: in natura siamo tutti bestie selvagge. Apichatpong Weerasethakul lo scrive prima di spalancare il sipario e lo sviluppa dal primo all’ultimo fotogramma costruendo un film fuori da ogni logica narrativa, estraneo agli schemi visivi cinematografici abituali. Il film – disponibile per la prima volta in streaming in Italia grazie a MUBI – accolto a Cannes nel 2004 tra fischi e un Tarantino che si impose per premiarlo con il Premio della Giuria, è il primo passo del regista thailandese verso un cinema ipnotico, sensoriale, esperienziale, mistico, che ha raggiunto l’apice con Lo zio Boonmee e che con il suo ultimo film, Memoria, continua la sua ricerca verso un qualcosa capace di andare oltre i limiti fisici dello schermo.

Tropical Malady
Una scena di Tropical Malady

Un primo passo che però assomiglia già alla fine di un percorso, di una maturazione autoriale capace di attingere al folklore religioso e ancestrale della propria terra e unirla a una maestria registica che restituisce allo spettatore un’esperienza irripetibile. Tropical Malady è spaccato in due, due storie divise da un sipario nero che fa chiudere gli occhi e costringe a riaprirli altrove. La prima è una storia d’amore tra il soldato Keng e il contadino Tong. Un amore tra città e natura, socialmente distante ma che riempie quel vuoto tra loro con sguardi appena accennati e baci dati solo sulle mani. Si amano senza dirselo, senza esprimerlo, senza mostrarlo. Tra loro arde e brucia un sentimento silenzioso che deve scontrarsi inevitabilmente con il contesto in cui è immerso, tra i palazzi di Bangkok che Tong fatica a riconoscere come qualcosa di familiare e tra la fitta foresta in cui Keng deve entrare in silenzio e in punta di piedi.

Un altro momento del film con il Mito dello sciamano Khmer.

Ma a metà succede qualcosa. Tong scompare improvvisamente e l’occhio della telecamera si chiude e si riapre in un’altra storia. Una storia che personifica il Mito dello sciamano Khmer incarnato in una tigre assetata di sangue. È proprio Tong a trasformarsi in una tigre e proprio Keng a dover intraprendere un viaggio in quella fitta foresta per ritrovarlo e affrontare la sua furia. Apichatpong Weerasethakul trasforma la sua materia cinematografica da una storia classica a un viaggio onirico dove la struttura narrativa lascia spazio ai suoni, alle immagini, al silenzio. Tropical Malady è quindi mito che prende vita, narrazione che diventa storia, delicata e dilatata riflessione sul valore del ricordo, l’accettazione e il rapporto uomo-bestia.

Tropical Malady
Un’immagine di Tropical Malady

Ma chi è davvero il mostro? Chi scappa, ringhia e fa paura oppure chi decide di inginocchiarsi alla propria ipocrisia e restare? Il regista thailandese risponde inscenando un viaggio – al limite tra sogno e realtà – di un uomo verso il centro corporale e nevralgico della natura, il percorso di uomo per ritrovare quello che ha perso. E se Tropical Malady si apre con qualcosa di conosciuto e familiare all’interno dei confini cinematografici, pian piano che il film scorre gli ingranaggi vengono meno e la materia si dilata, il tangibile diventa ineffabile e inafferrabile per aprire lo spazio a un ragionamento che le immagini faticano a seguire, anche se poi tutto si sbroglia e si risolve in un semplice sguardo, che contiene l’intero macrocosmo filmico.

Un’altra suggestiva scena del film

E quindi cos’è in definitiva Tropical Malady? Un confine che smette di essere tracciato, un’analisi formale e barocca di ciò che si nasconde dietro i nostri occhi, quel nero che intravediamo quando li chiudiamo che però, dopo qualche istante, si trasforma in qualcosa di indescrivibile. Un’immersione totale che bisogna affrontare come l’inizio di un viaggio mistico, all’interno di una realtà che si traveste da sogno e che si trasforma in un’esperienza visiva e sensoriale capace di lasciare addosso qualcosa di indelebile e che non si riesce a spiegare.

Qui potete vedere il trailer del film:

Lascia un Commento

King Kong | Merian C. Cooper e i novant’anni di un sogno diventato cinema

Élise Girard e Viaggio in Giappone, il suo nuovo film con protagonisti Isabelle Huppert, Tsuyoshi Ihara e August Diehl, ora al cinema con Academy Two

Élise Girard: «Viaggio in Giappone, Isabelle Huppert e le musiche di Bach»